La disumanità dell'uomo non si materializza soltanto negli atti corrosivi dei malvagi. Si materializza anche nella corruttrice inattività dei buoni.

Martin Luther King

Se vedi la carità, vedi la Trinità.

( Sant'Agostino )

mercoledì 1 maggio 2013







ANTONIO DI PADOVA 

Sermoni




P R O L O G O 


1. Leggiamo nel primo libro dei Paralipomeni: “Davide diede [al figlio Salomone] oro finissimo, perché con esso venisse costruita una specie di quadriga di cherubini che, stendendo le ali, coprissero l’arca dell’alleanza del Signore” (1Par 28,18).



2. Dice la Genesi che nella terra di Hevilath “si trova l’oro, e l’oro di quella terra è purissimo” (Gn 2,12). Hevilath vuol dire “partoriente”, e raffigura la sacra Scrittura, che è “la terra che produce prima l’erba, quindi la spiga, e infine il chicco pieno nella spiga” (Mc 4,28).

Nell’erba è indicata l’allegoria (il senso allegorico), che edifica la fede: “La terra germogli erba verdeggiante”, comanda Dio nella Genesi (Gn 1,11). Nella spiga – il cui nome viene da spiculum, punta o freccia – è indicata l’applicazione morale, o l’insegna­mento morale, che forma i costumi e con la sua soavità penetra nello spirito. Nel chicco pieno è indicata l’anagogia (il senso mistico), che tratta della pienezza del gaudio e della beatitudine angelica.

Ecco dunque che nella terra di Hevilath si trova l’oro finissimo, perché dal testo della pagina divina scaturisce “la scienza sacra”. Come l’oro è superiore a tutti i metalli, così la scienza sacra è superiore a ogni altra scienza: non sa di lettere chi non conosce le “lettere sacre”. Dunque è della scienza sacra che si parla, quando dice: “Davide diede oro finissimo”.



Davide vuol dire “misericordioso”, oppure “di mano forte”, o anche “avvenente di aspetto”, ed è figura del Figlio di Dio, Gesù Cristo, il quale fu misericordioso nell’incar­nazione, forte e valoroso nella passione, e sarà di aspetto sommamente desiderabile per noi nella beatitudine eterna. Parimenti è misericordioso nell’infusione della grazia: e questo negli incipienti, per cui è detto miseri­cordioso, quasi a dire “che irriga il cuore misero” (misericors, miserum rigans cor).

Nell’Ecclesiastico infatti è detto: “Innaffierò il giardino delle piante e irrorerò il frutto del mio parto” (Eccli 24,42)1. Il giardino è l’anima nella quale Cristo, come un giardiniere, mette a dimora i misteri della fede, poi la irriga e la feconda con la grazia della compunzione; e dell’anima dice ancora: “e irrorerò il frutto del mio parto”: l’ani­ma nostra è detta “frutto del parto del Signore”, cioè del suo dolore, perché, come una donna partoriente, l’ha generata nei dolori della passione: “Offrendo – dice l’Apo­stolo – preghiere e suppliche con forti grida e lacrime” (Eb 5,7). E Isaia: “Io che faccio partorire gli altri, forse non partorirò?” (Is 66,9), dice il Signore?”. Irrora quindi il frutto del suo parto quando con la mirra e l’aloe della sua passione mortifica i piaceri della carne, affinché l’anima, come inebriata da questa irrora­zione, dimentichi le cose temporali: “Hai visitato la terra e l’hai inebriata” (Sal 64,10).

Parimenti è di mano forte quando fa avanzare di virtù in virtù, e opera questo nei proficienti. Dice infatti Isaia: “Io sono il Signore, Dio tuo, che ti prendo per mano e ti dico: Non temere, perché io ti ho aiutato” (Is 41,13). Come una madre amorosa prende con la sua mano la mano del bambino insicuro sulle gambe, perché possa salire con lei, così il Signore con la mano della sua misericordia prende la mano dell’umile penitente affinché possa salire per la scala della croce i gradini della perfezione (i perfetti), e sia fatto degno di contemplare colui che è avvenente di aspetto, “il re nella sua gloria” (Is 33,17), “colui nel quale gli angeli desiderano fissare lo sguardo” (1Pt 1,12).

Il nostro Davide, il Figlio di Dio, il Signore benigno e misericordioso (Sal 110,4), che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare (Gc 1,5), ha dato l’oro, cioè la sacra intel­ligenza della divina Scrittura: “Aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture” (Lc 24,45); ha dato l’oro purissimo, cioè perfettamente purificato da ogni immon­dezza e da ogni scoria di malvagità e di eresia.



4. “Affinché con esso fosse costruita una specie di quadriga di cherubini”: con questa espressione si intende la pienezza della scienza e vengono indicati l’Antico e il Nuovo Testamento, nei quali è la pienezza di tutta la scienza, la sola che sa insegnare, la sola che rende sapienti. Le sue massime (lat. auctoritates) sono come delle ali, che si distendono quando vengono spiegate nel triplice senso sopraddetto; e in questo modo velano l’arca dell’al­leanza del Signore. L’arca è così chiamata in quanto tiene lontano (lat. arcet) gli sguardi o il ladro. L’arca è l’anima fedele, che deve allontanare da sé lo sguardo della superbia, di cui è detto in Giobbe: “Tutte le cose alte disprezza” (Gb 41,25), e il ladro, così chiamato da “notte oscura” (lat. fur, ladro, e furva nox, notte oscura): il ladro che finge di essere santo, e che è chiamato: “il nemico che si aggira nelle tenebre” (Sal 90,6).

Quest’arca è detta “dell’alleanza del Signore”, perché nel battesimo l’anima fedele ha stabilito con il Signore un’alleanza eterna, quella cioè di rinunciare al diavolo e alle sue suggestioni, come è scritto: “Giurai e stabilii di osservare i tuoi precetti di giustizia (Sal 118,106). Quest’arca è velata dalle ali dei cherubini quando con la predicazione dell’Antico e del Nuovo Testamento viene protetta e difesa dalla fiamma della prosperità umana, dalla pioggia della concupiscenza carnale e dalla folgore delle suggestioni diaboliche.



5. Perciò a gloria di Dio e per l’edificazione delle anime, a consolazione del lettore e dell’ascol­tatore, con l’approfondimento del senso della sacra Scrittura e ricorrendo ai vari passi dell’Antico e del Nuovo Testamento, abbiamo costruito una quadriga, affinché su di essa l’anima venga sollevata dalle cose terrene e portata, come il profeta Elia, in cielo per mezzo della frequentazione delle verità celesti (cf. 4Re 2,11).

E osserva che, come nella quadriga ci sono quattro ruote, così in questi sermoni vengono trattate quattro materie, vale a dire i vangeli domenicali, i racconti dell’Antico Testamento come vengono letti nella chiesa, gli introiti, e le epistole della messa domenicale. Quasi raccogliendo dietro ai mietitori le spighe dimen­ticate, come Rut la moabita nel campo di Booz (cf. Rt 2,3.7), con timore e trepidazione perché ìmpari a così sublime e arduo compito, ma vinto dalle preghiere e dall’amore dei fratelli che a ciò mi spingevano, ho riunito e concordato tra loro queste quattro materie, nella misura concessami dalla grazia divina e per quanto me lo consentiva il modesto ruscello della mia piccola scienza.

E perché la complessità della materia e la varietà dei riferimenti non producesse nella mente del lettore confu­sione o dimenticanze, abbiamo diviso i vangeli in parti, come Dio ci ispirava, e ad ogni parte abbiamo fatto corri­spondere le parti dei racconti dell’Antico Testamento e quelle delle epistole.

Abbiamo esposto un po’ più diffusamente i vangeli e i racconti della Bibbia, mentre siamo stati più brevi e sintetici nell’esposizione dell’introito e delle epistole, perché l’ec­cesso di parole non provocasse un dannoso fastidio. È veramente difficile riassumere in un discorso breve ed efficace una materia così vasta!

A tal punto è giunta la frivola mentalità dei lettori e degli uditori del nostro tempo, che se non incontrano in ciò che leggono o in ciò che ascoltano uno stile elegante, infiorettato di frasi ricercate e di parole rare e nuove, si annoiano di ciò che leggono e disprezzano ciò che sentono. Quindi, per evitare che la Parola di Dio avesse a suscitare noia o disprezzo a danno delle loro anime, all’inizio di ogni vangelo abbiamo posto un prologo appropriato, e abbiamo introdotto qua e là descrizioni di elementi naturali e di animali, ed etimologie di nomi, il tutto interpretato in senso morale.

Abbiamo anche riunito insieme gli inizi (gli incipit) di tutte le citazioni di questa opera, dalle quali in pratica è possibile dedurre il tema del sermone; e all’inizio abbiamo elencato tutti i passi del libro nei quali trovarle e a quale argomento ognuna di esse possa essere adattata.

Sia data dunque ogni lode, ogni gloria e ogni onore al Figlio di Dio, principio di tutta la creazione: in lui unicamente abbiamo riposto e da lui aspettiamo la ricompensa di questo lavoro. Egli è Dio benedetto, glorioso e beato per i secoli eterni.

E tutta la chiesa canti: Amen. Alleluia!


(continua. Cliccare link sopracitato)