La disumanità dell'uomo non si materializza soltanto negli atti corrosivi dei malvagi. Si materializza anche nella corruttrice inattività dei buoni.

Martin Luther King

Se vedi la carità, vedi la Trinità.

( Sant'Agostino )

mercoledì 12 giugno 2013


Articolo di Suor Maria Fernanda Dima

pubblicato sul “CORRIERE DELLA SERA”

del 20.02.2011 nella sezione Corriere Fiorentino



Ho seguito a distanza e per quel che ho potuto la manifestazione di donne (“Se non ora, quando?”) che si è svolta in varie città italiane domenica scorsa 13 febbraio. Il mio punto di osservazione, cioè dall’interno della scelta monastica che ogni giorno cerco di vivere con impegno e gioia profonda, non mi fa generalmente inclinare all’apprezzamento di cortei e raduni di sorta. E ciò coerentemente alle mie convinzioni ideali ed etiche che si fondano soprattutto sulla riflessione e sulla risposta personale che ciascuno dà alla domanda sull’esistenza. Né credo manchi in questo atteggiamento l’espressione della mia sensibilità femminile che, lungi dal non considerare l’importanza della comunicazione – che anzi ho grande stima del dialogo e di una corretta comunicazione – mi rende più propensa all’ascolto e all’approfondimento intellettuale che all’esternazione e all’azione pragmatica.Per quanto ricordi delle mie esperienze anteriori all’ingresso in monastero – ad esempio negli anni degli studi universitari – ritengo non sia facile, quando si partecipa a un incontro collettivo, avere sufficiente consapevolezza del problema che si sta dibattendo, poiché tante sono le voci e spesso pluralistiche le motivazioni che costituiscono i risvolti dell’evento. E non è semplice, al di là delle correnti che generalmente tendono a influenzare la folla, maturare le proprie idee e portarle nella vita in originale sintesi tra apertura alla cultura in senso lato e fedeltà al proprio sentire o alla propria coscienza etica e civile. Mi sembra tuttavia che di positivo in quanto avvenuto, a prescindere da ogni possibile coloritura ideologica o politica in senso stretto, ci sia l’opportunità che è stata data di parlare della donna, della sua dignità, del suo inserimento nel mondo d’oggi. Ed è questo un tema certamente non nuovo, ma a mio parere da tenere ben presente, in quanto tocca un punto controverso della nostra cultura. Poche immagini infatti sono oggi esposte a fraintendimento quanto quella della donna.

Ed è questo il primo punto su cui vorrei soffermarmi: che le donne facciano sentire la loro voce e richiamino l’attenzione su quanto di loro si pensa, si dice e soprattutto si propaganda, per manifestare il loro dissenso e le loro ragioni, lo ritengo legittimo, ma nello stesso tempo spererei vivamente che la donna stessa abbia giusta consapevolezza della dignità che vuole affermare e idee chiare sulla sua identità e capacità di progettazione della propria vita. Cosa che, francamente, non mi sembra essere sempre certa nel nostro contesto sociale.
Mi sembra infatti che essere donna, e donna emancipata, attualmente si identifichi il più delle volte con l’equiparazione di ruoli e poteri rispetto all’uomo. Tanto che non è raro sentire parlare di cifre sulla partecipazione femminile agli incarichi di rappresentanza o di alto livello a dimostrazione della sua posizione culturale ancora minoritaria. Ma il problema è a monte: se anche la donna giungesse ai vertici delle più brillanti carriere – cosa che cordialmente le auguro e talora, di fatto, già avviene – desidererei comunque che il suo modo di essere e di porsi fosse di timbro diverso, femminile appunto (il che non vuol dire inferiore, ma di altra qualità), arricchendo ogni ambito culturale, politico e sociale della sua specifica forma di umanità e sensibilità.  Per il suo profondo rapporto con la vita, il suo intuito e la sua capacità di osservazione, per l’attenzione all’umano e le connaturali doti di generosità, la donna è infatti, a mio avviso, portatrice privilegiata di originalità, di innovazione e creatività, nonché di bellezza nel senso più filosofico ed estensivo del termine.

In tutta sincerità non trovo convincenti né interessanti le donne che imitano la figura maschile mostrando una sicurezza talora aggressiva che indurisce il loro tratto, oppure ostentando una spregiudicatezza di comportamenti e di toni che le omologa a un modello quanto mai dissonante dal loro fondamento antropologico.  Perché, tra l’altro, una delle questioni connesse al valore, o disvalore della donna oggi, è quella dello smantellamento di quella compostezza, o meglio pudore (parola obsoleta nella nostra cultura, se non all’indice) che custodisca ma anche sveli in certo senso il mistero profondo della persona.

E tocchiamo qui un secondo punto della questione. Ovvero l’influenza della cultura dominante, soprattutto a livello mediatico, sull’immagine della donna. Un’immagine troppo spesso legata al corpo, come ha fatto recentemente notare una mia consorella (suor Eugenia Bonetti, responsabile dell’Ufficio “Tratta donne e minori” dell’Usmi) considerato come “oggetto o strumento di piacere, di consumo e di guadagno”, e dunque esposto a una mercificazione esplicita o sottesa. Quando invece il corpo è un prezioso strumento di comunicazione che può anche esprimere lo specifico femminile senza giungere a rappresentazioni di dubbio gusto e valore.

Ma anche senza arrivare a certi estremi, propri di particolari problematiche sociali del nostro tempo, bisogna pure prendere coscienza del diffuso clima di amoralità indotto dalla demolizione di tanti valori umani che la nostra cultura ha favorito e in parte prodotto. Quanti di noi, infatti, donne e uomini di questo preciso momento storico, siamo capaci di essere liberi dall’egemonia dei modelli veicolati dai media? Siamo realmente in grado di libera scelta all’interno di una propaganda pubblicitaria (e non solo pubblicitaria), che esalta l’edonismo e genera un consumismo che ci avviluppa con un sottile ma dilagante condizionamento sociale al quale è davvero difficile ormai sottrarsi?

E ancora: quale distinzione è oggi possibile tra bene e male, quando questa non è più chiara per gli adulti e gli stessi bambini si trovano immersi in un generalizzato clima di permessivismo; quando le bambine si atteggiano troppo presto a donne in miniatura che si esibiscono in forme di effimera vanità e gli adolescenti sono di fatto autorizzati ad esperienze pseudoaffettive e sessuali precoci? Frutto del relativismo etico che ormai dilaga nelle nostre famiglie e nella società.

La prima forma di contestazione, a mio avviso, dovrebbe essere una presa di coscienza personale, e quindi familiare e sociale, che generi un progressivo e concreto distanziamento nei confronti di una cultura povera di valori confacenti all’umano, che ci bombarda e schiavizza.
Se, come penso, l’identità della persona si coniuga con il suo valore costitutivo, e dalla fedeltà a questo valore deriva la sua dignità, il problema di fondo è etico e formativo. Urge a mio avviso una formazione continua della coscienza della donna (come del resto anche dell’uomo) che tenga conto dei vari ambiti: antropologici, morali, spirituali della realtà femminile. Una formazione che aiuti ogni persona a essere e a vivere nel mondo in modo consapevole.

La scelta è, a mio giudizio, tra interiorità ed esteriorità: se, a preferenza della cura della bellezza interiore da scoprire e valorizzare, le donne preferiscono adeguarsi all’immagine passata dall’attuale cultura permissiva, non potranno poi lamentarsi di ciò che per prime spesso attestano con la vita, le idee e i comportamenti.



Suor Maria Fernanda Dima