La disumanità dell'uomo non si materializza soltanto negli atti corrosivi dei malvagi. Si materializza anche nella corruttrice inattività dei buoni.

Martin Luther King

Se vedi la carità, vedi la Trinità.

( Sant'Agostino )

venerdì 19 luglio 2013

LA PACE DEL CUORE

di

Padre Jacques Philippe



Dipinto dell'esimia Artista Dona Gelsinger

Seconda parte


13. Pazienza verso i nostri errori e le nostre imperfezioni

Quand'anche una persona avesse fatto un certo cammino nella vita spirituale, desiderasse veramente amare il Signore con tutto il cuore, avesse imparato ad avere fiducia in Lui e ad abbandonarsi nelle Sue mani in mezzo alle difficoltà, le resterebbe, tuttavia, ancora una circostanza in cui potrebbe spesso rischiare di perdere la pace, la quale viene molto usata dal demonio per scoraggiarla e turbarla: si tratta
della visione della propria miseria, dell'esperienza dei propri errori, delle cadute che potrebbe ancora fare in tale o tal altro ambito, malgrado la sua buona volontà.

Anche in quel caso è importante rendersi conto che la tristezza, lo scoraggiamento e l'inquietudine che 
proviamo, dopo aver commesso una colpa, non sono buoni sentimenti e che dobbiamo invece fare di tutto per dimorare nella pace.

Ecco il principio fondamentale che deve guidarci nell'esperienza quotidiana delle nostre miserie e delle nostre cadute: non si tratta tanto di compiere sforzi sovrumani per eliminare totalmente le nostre 
imperfezioni ed i nostri peccati (la qual cosa è comunque fuori dalla nostra portata!), quanto di saper ritrovare al più presto la pace quando ci capita di macchiarci di una colpa o quando siamo turbati dall'esperienza delle nostre imperfezioni, evitando sempre la tristezza e lo scoraggiamento.

Non si tratta di lassismo, né di rassegnazione alla mediocrità, al contrario di un modo per santificarci più rapidamente e questo per diverse ragioni.

La prima è che, come abbiamo già sottolineato, Dio agisce nella pace dell'anima. Non è grazie alle nostre forze che riusciremo a liberarci dal peccato, solo la grazia di Dio ne verrà a capo. Piuttosto che 
prendercela con noi stessi, sarebbe più efficace ritrovare la pace per lasciar modo a Dio di agire.

La seconda ragione è che un tale atteggiamento fa più piacere al Signore. Cosa rende contento Dio?
Quando dopo una caduta ci si scoraggia e ci si tormenta? O quando si reagisce dicendo: « Signore, ti chiedo perdono, ho peccato ancora: ecco cosa sono capace di fare, lasciato a me stesso! 
Ma mi abbandono fiducioso alla tua misericordia. Ti ringrazio di non aver permesso che peccassi ancora più gravemente. Ho fiducia in te: so che un giorno mi guarirai completamente. Nell'attesa ti chiedo che l'esperienza della mia miseria mi porti ad essere più umile, più dolce verso gli altri, più consapevole che nulla posso da solo, ma che devo sperare solo nel tuo amore e nella tua infinita misericordia ». La risposta è chiara.

La terza ragione è che il turbamento, la tristezza, lo scoraggiamento che proviamo in seguito a insuccessi o colpe, raramente sono sentimenti puri che scaturiscono da un sincero dolore di aver offeso Dio. Essi si mescolano a una buona parte di orgoglio. Siamo tristi, scoraggiati, non tanto perché Dio è stato offeso ma perché l'immagine ideale che abbiamo di noi è venuta brutalmente a crollare. Il nostro dolore è proprio quello dell'orgoglio ferito! Questa eccessiva sensazione dolorosa è un segno che rivela che abbiamo riposto la fiducia esclusivamente in noi stessi, nelle nostre proprie forze non in Dio. Ascoltiamo i consigli di Lorenzo Scupoli:
« Sembrerà molto spesso al servo presuntoso di avere ottenuto la diffidenza di sé e la confidenza in Dio, (che sono i due fondamenti della vita spirituale: non contare su se stesso e contare su Dio) e non sarà così. E di ciò ti chiarirà l'effetto che produrrà in te il cadere. Se tu dunque quando cadi t'inquieti, t'attristi e ti senti chiamare ad una certa disperazione pensando di non poter più andar innanzi e far bene, segno certo è che tu confidavi in te e non in Dio. E se molta sarà la tristezza e la disperazione, vorrà dire che avrai confidato molto in te e poco in Dio; colui che in gran parte è sconfidato di se stesso e confidato in Dio, quando cade non si meraviglia né s'attrista né si rammarica, riconoscendo che ciò gli occorre per sua debolezza e poca confidenza in Dio: anzi più è sconfidato di sé, più umilmente confida in Dio: e avendo in odio il difetto sopra ogni cosa e le disordinate passioni, causa della caduta, provando un grande dolore - comunque sempre quieto e pacifico - per l'offesa recata a Dio, prosegue poi nelle sue occupazioni e perseguita i suoi nemici insino alla morte con maggior animo e risoluzione » (II combattimento spirituale, cap. IV). 
«Molti in questo ancora s'ingannano. Attribuiscono la pusillanimità e l'inquietudine che seguono dopo il peccato (perché è sempre accompagnato da qualche dispiacere) a virtù, non sapendo che nascono da occulta superbia e presunzione fondate nella fiducia in loro stessi e nelle proprie forze, nelle quali (stimandosi da qualche cosa) avevano soverchiamente confidato; scorgono invece dalla prova della caduta che loro mancano, si turbano e meravigliano come di cosa nuova e s'impusillanimiscono, vedendo andato a terra quel sostegno in cui vanamente avevano riposto la confidenza loro.

Non accade questo all'umile, il quale, confidando solo nel suo Dio e di sé niente presumendo, quando 
incorre in qualsivoglia colpa, ancorché ne senta dolore, non se ne inquieta o ne prenda meraviglia, sapendo che tutto ciò che gli avviene è per sua miseria e propria debolezza, da lui con lume di verità molto conosciuta » (Id. cap. V).


14. Dio può trarre il bene anche dalle nostre colpe

La quarta ragione per cui tristezza e scoraggiamento sono da allontanare è che non bisogna prendere troppo sul tragico le nostre mancanze, perché Dio è capace di trarne del bene. 
Teresa di Gesù Bambino amava molto questa frase di san Giovanni della Croce: « L'amore sa trarre profitto da tutto, dal bene come dal male che trova in me, e trasformare tutte le cose in sé ». La nostra fiducia in Dio deve arrivare fino a questo: credere che Egli è tanto buono e potente da trarre profitto da ogni cosa, compresi i nostri errori e le nostre infedeltà. Quando cita la frase di san Paolo « Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio », Sant'Agostino aggiunge: « Etiam peccata », anche il peccato!
Certo dobbiamo lottare energicamente contro il peccato e correggerci dalle nostre imperfezioni. Dio vomita i tiepidi, e nulla raffredda tanto l'amore quanto la rassegnazione ad una certa mediocrità (d'altronde questa rassegnazione non è che una mancanza di fiducia in Dio e nella sua capacità di renderci santi!). Inoltre quando siamo stati causa di qualche male dobbiamo cercare di riparare, nella misura del possibile. Ma non dobbiamo cedere allo sconforto poiché Dio, una volta che ci siamo rivolti a Lui con cuore pentito, sarà capace di fare scaturire un bene dalle nostre colpe. Almeno questo: cresceremo nell'umiltà ed apprenderemo a riporre sempre meno fiducia nelle nostre forze e sempre più in Lui. La misericordia del Signore è tanto grande da utilizzare gli errori a nostro vantaggio! Ruysbroek, mistico fiammingo del medioevo, scrive: « II Signore, nella sua clemenza, ha voluto ritorcere i nostri peccati contro loro stessi e per noi; ha trovato il modo di renderli a noi utili, di convertirli nelle nostre mani in strumenti di salvezza. Che tutto questo non diminuisca di nulla il nostro timore di peccare, né il nostro dolore per aver peccato. Ma i nostri peccati sono diventati per noi fonte d'umiltà ». Aggiungiamo anche che possono in egual misura diventare fonte di dolcezza e misericordia verso il prossimo. Proprio io che cado tanto facilmente, come posso permettermi di giudicare il mio fratello, come posso non essere misericordioso nei suoi confronti, così come il Signore è stato con me?

Dunque, dopo una colpa qualsiasi, invece di restare indefinitamente ripiegati su noi stessi rimuginandone il ricordo, volgiamoci subito a Dio con fiducia, anzi ringraziamolo del bene che la sua misericordia trarrà da questo peccato!

Dobbiamo sapere che una delle armi, che più spesso il demonio utilizza per impedire il cammino delle 
anime verso Dio, è proprio il cercare di scoraggiarle alla vista dei loro peccati.
Dobbiamo saper distinguere il vero pentimento, il vero desiderio di correggersi (che è sempre dolce,
tranquillo, fiducioso) da quello falso che turba, scoraggia e paralizza. Non tutti i rimproveri che ci
vengono mossi dalla nostra coscienza sono ispirati dallo Spirito santo! Alcuni vengono dal nostro orgoglio o dal demonio e dobbiamo imparare a discernerli. La pace è un criterio essenziale nel discernimento degli spiriti. I sentimenti che vengono dallo Spirito di Dio possono essere molto potenti e profondi, ma sempre pacifici. Ascoltiamo ancora Scupoli:« Per conservare il tuo cuore pacifico in tutto occorre anche che tu lo difenda e custodisca da certi scrupoli e rimorsi interiori che sono alcuna volta del demonio, sebbene (perché ti accusano di qualche mancamento) pare che vengano da Dio. Dai frutti loro conoscerai d'onde procedono. Se ti abbassano, ti fanno diligente nel bene operare, né ti tolgono la confidenza in Dio, li devi ricevere come venissero da Dio con rendimento di grazie, ma se ti confondono e fanno pusillanime, diffidente, pigro e lento nel bene, tieni pur per cosa certa che vengono dall'Avversario; però, non dando loro orecchio, prosegui nel tuo esercizio »  (II combattimento spirituale, cap. XXV).

Comprendiamo questo: per la persona di buona volontà quello che rende grave il peccato non è tanto la colpa in se stessa quanto l'abbattimento in cui si cade. Colui che cade, ma si rialza subito, non ha riportato gravi perdite, ha piuttosto guadagnato: in umiltà, in esperienza della misericordia, ecc. Colui che invece resta triste ed abbattuto perde molto di più. Il segno manifesto del progresso spirituale non è tanto il non cadere più, quanto l'essere capace di rialzarsi rapidamente dalle proprie cadute e di non drammatizzarle.

(continua)