La disumanità dell'uomo non si materializza soltanto negli atti corrosivi dei malvagi. Si materializza anche nella corruttrice inattività dei buoni.

Martin Luther King

Se vedi la carità, vedi la Trinità.

( Sant'Agostino )

lunedì 15 luglio 2013

LA PACE DEL CUORE

di

Padre Jacques Philippe


Dipinto dell'esimia Artista Dona Gelsinger


Seconda parte


7. Che fare quando non riusciamo ad abbandonarci?


Abbiamo posto questa domanda a Marthe Robin (mistica francese, morta nel 1981) Ci ha detto:
« Abbandonarsi ugualmente! ». E' la risposta di una santa. Non mi permetto di proporne un'altra.
Questa si ricollega alla parola della piccola Teresa di Gesù Bambino: 
« L'abbandono totale, 
ecco la mia sola legge!» . L'abbandono non è cosa naturale, e non è facile: è una grazia da chiedere a Dio. Ce la concederà, se lo preghiamo con perseveranza: « chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto... » (Mt 7,7). 
L'abbandono è un frutto dello Spirito santo, ma questo Spirito il Signore non lo rifiuta a chi lo chiede con fede: « Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito santo a coloro che glielo chiedono! » (Le 11,13).

Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla

Una delle più belle espressioni dell'abbandono fiducioso nelle mani di Dio è il Salmo 23:

Il Signore è il mio pastore: 
non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni.

Vorremmo soffermarci qualche istante su questa sorprendente affermazione della Scrittura, che Dio non ci lascia mancare di nulla. Questo servirà a smascherare una tentazione molto comune nella vita cristiana e che paralizza enormemente il progresso spirituale.
Si tratta di quella impressione a causa della quale si crede che nella nostra situazione attuale ci manchi
qualcosa di essenziale e che, per questo, la possibilità di crescere spiritualmente ci sia rifiutata. Per esempio: manco di salute, dunque non riesco a pregare come ritengo indispensabile fare. Oppure: la mia famiglia mi impedisce di organizzare le mie attività spirituali come vorrei. O ancora: non ho le qualità, le forze, le virtù, i doni che ritengo essermi necessari per la realizzazione di qualcosa di bello sul piano della vita cristiana. Non sono soddisfatto della mia vita, della mia persona, del mio stato, e vivo con la costante sensazione che fin quando le cose andranno in un tale modo mi sarà impossibile vivere veramente ed intensamente. Mi sento svantaggiato rispetto agli altri e porto in me la costante nostalgia di un'altra vita, migliore e più vantaggiosa, dove finalmente poter realizzare delle cose valide. Ho la netta sensazione, secondo l'espressione di Rimbaud, che « la vera vita sia altrove »; altrove, ma non nella mia situazione. Non accetto la mia storia personale e le sue limitazioni, e questo mi paralizza.

Questo modo di percepire la propria situazione è molto frequente anche in cristiani sinceri, ma denota una mancanza di fede.
Basterebbe poco perché tutto si modificasse e io iniziassi a progredire in modo autentico: uno sguardo diverso, uno sguardo di fiducia e di speranza sulla mia situazione (basato sulla certezza di fede che nulla mi manca). Allora mi si aprirebbero delle porte, delle insperate possibilità di crescita spirituale, che esistono sempre perché Dio non le può rifiutare a nessuno, ma che non vedo perché sono centrato su me stesso. Noi viviamo spesso in questa illusione. Vorremmo che quanto ci circonda cambiasse, che si trasformassero le circostanze esteriori, nell'errata convinzione che tutto allora andrebbe meglio: molto spesso è un errore. Non sono le circostanze esteriori, è il nostro cuore che prima d'ogni altra cosa deve cambiare, purificarsi dal ripiegamento su se stesso, dalla tristezza e dalla mancanza di speranza: 
« Beati i puri di cuore perché vedranno Dio » (Mt 5,8). Beati coloro il cui cuore è purificato dalla fede e dalla speranza, che posano sulla loro vita uno sguardo animato dalla certezza che, nonostante le circostanze apparentemente sfavorevoli, Dio è presente e dunque nulla può loro mancare. In quell'istante, se avranno questa fede, vedranno Dio: sperimenteranno questa sua presenza che li accompagna e li guida, vedranno che molte cose che ritenevano negative nella loro vita sono invece, nella pedagogia divina, dei potenti modi per farli crescere e progredire. San Giovanni della Croce dice che « Molto spesso è da quello che essa crede di perdere che l'anima trae maggior profitto ».

Per esempio come lo spiegheremo più avanti, quante nostre imperfezioni, di cui ci lamentiamo e
vorremmo essere sbarazzati, potrebbero mutarsi in occasioni per progredire in umiltà e fiducia nella
misericordia di Dio, e dunque nella santità. 
Il problema di fondo è che contiamo troppo sul discernimento personale di quello che è buono e quello che non lo è, e non abbiamo invece sufficiente fiducia nella saggezza di Dio.

Se qualcosa ci manca, è soprattutto il credere che « tutto è grazia » (Teresa di Gesù Bambino).

Crescere e realizzarsi, in termini di cristianesimo, vuoi dire imparare ad amare. Tanti aspetti della mia
vita percepiti in un modo negativo potrebbero invece, se avessi più fede, essere delle preziose occasioni per amare di più: per essere più paziente, più umile, più dolce, più misericordioso, più distaccato, per abbandonarmi maggiormente nelle mani di Dio, e così via. Dio mi potrà lasciare talvolta mancare di alcune cose: di danaro, di salute, di virtù; ma non mi lascerà mai mancare se stesso e la grazia che mi permette di vivere ogni situazione in modo da progredire nell'amore.

(continua)