La disumanità dell'uomo non si materializza soltanto negli atti corrosivi dei malvagi. Si materializza anche nella corruttrice inattività dei buoni.

Martin Luther King

Se vedi la carità, vedi la Trinità.

( Sant'Agostino )

lunedì 7 ottobre 2013

Dom Jean-Baptiste Gustave Chautard
L’Anima di ogni Apostolato




Capitolo III

– III –Che cosa è la Vita interiore?

Come nella Imitazione di Cristo, anche in questo libro le espressioni

 «vita d’orazione» e «vita contemplativa» vengono applicate allo stato di quelle
anime che si dedicano seriamente ad una vita cristiana non comune, ma tuttavia accessibile a tutti e, nella sostanza, obbligatoria per tutti.
Pur senza attardarci in uno studio di ascetica, ci limitiamo a richiamare ciò
che ognuno è obbligato ad accettare come assolutamente certo per il governo intimo della sua anima.


Prima Verità. – La vita soprannaturale è,
 in me, la vita di Gesù Cristo medesimo, mediante la fede, la speranza e la carità, perché Gesù è la causa meritoria esemplare e finale e, in qualità di Verbo, in unione col Padre e lo Spirito Santo, è la causa efficiente della grazia santificante nelle anime nostre.

La presenza del Signore per mezzo di questa vita soprannaturale non è la
presenza reale propria della santa Comunione, ma una presenza d’azione
vitale, come l’azione della testa e del cuore sulle altre membra. Azione intima che Dio nasconde di solito alla mia anima per aumentare il merito della mia fede;
azione pertanto abitualmente insensibile alle mie facoltà naturali, e che solo la fede mi impone di credere per obbligo; azione divina che preserva il mio libero arbitrio,
e si serve di tutte le cause seconde
–avvenimenti, persone e cose – per portarmi alla conoscenza della volontà di Dio e per offrirmi l’occasione d’acquistare ed accrescere la mia partecipazione
alla vita divina.

Questa vita, iniziata nel Battesimo con lo stato di grazia, perfezionata dalla
Cresima, ricuperata con la Penitenza, sostenuta e arricchita con l’Eucarestia,
è la mia Vita cristiana.


Seconda Verità. – Per mezzo di questa vita, Gesù Cristo mi comunica il suo Spirito, divenendo così un principio di attività superiore che, se non l’ostacolo, mi porta a pensare, a giudicare, ad amare, a volere, a soffrire, a lavorare con Lui, in Lui, mediante Lui e come Lui. Le mie azioni esteriori diventano la manifestazione della vita di Gesù in me ed in tal modo io tendo
a realizzare l’ideale della vita interiore formulato da san Paolo:
«Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal. 2, 20).
Vita cristiana, pietà, vita interiore, santità, non sono cose essenzialmente diverse, ma gradi di un medesimo amore; sono il crepuscolo, l’aurora, la luce, lo splendore di un medesimo sole.

Quando in questo libro usiamo l’espressione «vita interiore», non intendiamo tanto la vita interiore abituale, cioè – se così possiamo esprimerci – «il capitale della vita divina» che è in noi con la grazia santificante; intendiamo piuttosto la vita interiore attuale, ossia la valorizzazione di questo capitale con l’attività dell’anima e la sua fedeltà alle grazie attuali.

Posso pertanto così definire la vita interiore: lo stato di attività di un’anima che reagisce per regolare le sue naturali inclinazioni, e si sforza d’acquistare l’abitudine di giudicare e governarsi in tutto secondo le luci del Vangelo e gli esempi di Nostro Signore.

Ci sono dunque due movimenti. 

Col primo, l’anima si allontana da ciò che il creato può avere in opposizione alla vita oprannaturale e cerca di essere continuamente presente a se stessa: aversio a creaturis.

Col secondo, l’anima va verso Dio per unirsi a Lui: conversio ad Deum.
Quest’anima vuole perciò essere fedele alla grazia che il Signore le offre  in ogni momento; in una parola, vive unita a Gesù e realizza in se stessa le parole:
«Se uno rimane in me e io in lui, costui porta gran frutto» (Gv. 15, 4).

Terza Verità. – Io mi priverei di uno dei più potenti mezzi per acquistare la vita interiore, se non mi sforzassi di avere una fede precisa e certa di questa presenza attiva di Cristo in me, e soprattutto di ottenere che tale presenza sia per me una realtà viva, anzi vivissima, che penetri sempre più
l’atmosfera delle mie facoltà.
Se Gesù diventasse la mia luce, il mio ideale, il mio consigliere, il mio appoggio, il mio rifugio, la mia forza, il mio medico, il mio conforto, la mia gioia, il mio amore, insomma tutta la mia vita, allora io acquisterei tutte le virtù. Soltanto allora potrò sinceramente recitare quella mirabile preghiera di san Bonaventura proposta dalla Chiesa ai Sacerdoti come ringraziamento dopo la santa Messa:
 «Transfige, dulcissime Domine  Jesu...»


Quarta Verità. – In proporzione all’intensità del mio amore per Dio, la mia vita soprannaturale può crescere in ogni momento mediante una nuova infusione della grazia della presenza attiva di Gesù Cristo in me, infusione che è prodotta:

1) in occasione di atti meritori, cioè virtù, lavoro, patimenti nelle loro varie forme, privazioni di creature, dolore fisico o morale, umiliazione, abnegazione, preghiera, Messa, atti di devozione verso Maria Santissima,eccetera;

2) dai Sacramenti ed in special modo dall’Eucarestia.
E’ dunque certo – e questa conseguenza
 mi schiaccia con la sua sublimità e
profondità, ma più ancora mi dà gioia e coraggio – è dunque certo che per mezzo
di ogni avvenimento, persona o cosa, siete Voi, o Gesù, Voi stesso, che vi presentate oggettivamente a me in ogni istante. Sotto quelle apparenze, Voi nascondete la vostra sapienza ed il vostro amore e sollecitate la mia cooperazione per accrescere la vostra Vita in me.

O anima mia, Gesù si presenta ogni volta a te per mezzo della grazia del momento presente, della preghiera da dire, della Messa da celebrare o da ascoltare, della lettura da fare, degli atti di pazienza, di zelo, di rinunzia, di lotta, di confidenza, di amore da compiere. Oseresti tu voltare la faccia o sottrarti?

Quinta verità. – Causata dal Peccato originale ed accresciuta da ciascuno
dei miei peccati attuali, la triplice concupiscenza depone in me germi di
morte, opposti alla vita di Gesù. 
Ora, nella stessa misura con cui tali germi si sviluppano, essi diminuiscono l’esercizio di questa vita e possono anche arrivare, ahimé, a sopprimerla.
Tuttavia, né inclinazioni, né sentimenti contrari a questa vita, né tentazioni
per quanto violente e prolungate possono recarle danno, finché la mia volontà oppone resistenza. 
Anzi, e questa è una verità consolante, in proporzione del mio zelo, essi contribuiscono ad aumentarla come ogni altro elemento di lotta spirituale.

Sesta Verità. – Senza l’uso fedele di mezzi determinati, la mia intelligenza si acciecherà e la mia volontà diventerà troppo debole per cooperare con Gesù alla crescita o perfino al mantenimento della sua vita in me. 
Allora avviene una diminuzione progressiva di questa vita ed io m’incammino verso la tiepidezza della volontà. Per dissipazione, per mollezza, per illusione o per acciecamento, vengo a patti col peccato veniale, e siccome questo dispone facilmente a cadere nel peccato mortale, divento quindi incerto della mia salvezza.
Se io avessi la disgrazia di cadere in questa tiepidezza (e a maggior ragione se cadessi più in basso) dovrei prendere ogni mezzo per uscirne: cioè 

 1) ravvivare il timor di Dio, riflettendo profondamente sul mio fine, sulla mia morte, sul giudizio di Dio, sull’inferno, sull’eternità, sul peccato, eccetera;

2) ravvivare la compunzione mediante la conoscenza amorosa delle vostre piaghe,
o misericordioso Redentore. Con lo spirito sul Calvario, mi getterò ai vostri santi piedi, perché il vostro Sangue vivo, colando sulla mia testa e sul mio cuore, dissipi il mio acciecamento, sciolga il ghiaccio della mia anima e scuota il torpore della mia volontà.

Settima Verità. – Devo seriamente temere di non avere il grado di vita interiore che Gesù esige da me:

1) se tralascio di accrescere la sete di vivere di Gesù, sete che mi dà il desiderio di piacere in tutto a Dio ed il timore di dispiacergli in qualche modo. Ora questo avviene certamente se non faccio più uso dei mezzi che sono la preghiera del mattino, la Messa, i Sacramenti e l’Ufficio, gli esami di coscienza, particolare e generale, la lettura spirituale, oppure se per mia
colpa essi non m’apportano più alcun profitto;

2) se non ho più quel minimo di raccoglimento che mi permetta, durante le
mie occupazioni, di conservare il mio cuore in una purità e generosità sufficiente perché non sia soffocata la voce di Gesù, che mi mette in guardia dai fattori di morte che si presentano e m’invita a combatterli. 

Questo raccoglimento mi verrà a mancare, se io non uso i mezzi atti ad assicurarlo:
e cioè vita liturgica, giaculatorie specialmente in forma di supplica,comunioni spirituali, esercizio della presenza di Dio, ecc.

Se manca questo raccoglimento, i peccati veniali verranno a pullulare nella
mia vita, senza che nemmeno me ne renda conto. 

Per nasconderli, o perfinoper non lasciar trasparire uno stato ancor più lacrimevole, l’illusione si servirà dell’apparenza di una pietà più speculativa che pratica, dello zelo per le opere d’apostolato ecc. Il mio accecamento sarà colpevole perché,con la mancanza del necessario raccoglimento, io ne avrò posta e mantenuta la causa.

Ottava Verità. – La mia vita interiore sarà proporzionata alla custodia del cuore:
«Con ogni cura custodisci il tuo cuore, perché da ciò procede la vita»
(Pv. 4, 23).

La custodia del cuore altro non è che l’abituale o almeno frequente
sollecitudine di preservare tutti i miei atti, man mano che si presentano, da
tutto ciò che potrebbe viziarli nel loro movente o nella loro esecuzione.

Sollecitudine calma, tranquilla, senza sforzo, ma anche energica e basata
sul ricorso filiale a Dio. Questo è più un lavoro del cuore e della volontà che
non della mente, la quale deve rimanere libera per compiere i suoi doveri.
Lungi dal contrastare l’azione, la custodia del cuore la rende più perfetta,
regolandola secondo lo spirito di Dio e mettendone a fuoco i doveri di stato.

Tale esercizio lo si può praticare in ogni momento; è come lo sguardo del cuore sulle azioni presenti ed un’attenzione moderata sulle diverse parti di un’azione che si sta compiendo. E’ l’osservanza esatta del motto «Age quod agis» 
(fai con cura quel che devi fare). 
Simile a vigile sentinella, esercita la sua vigilanza su tutti i movimenti del cuore, su tutto ciò che passa nel suo interno
 – impressioni, intenzioni, passioni, inclinazioni – insomma su tutti i suoi atti interni ed esterni, pensieri, parole, azioni.

La custodia del cuore esige un certo raccoglimento che non può realizzarsi
in un’anima dissipata. 
Soltanto con la frequenza di questo esercizio se ne acquista l’abitudine.
«Quo vadam ed ad quid?» 
Dove sto andando e a che scopo? 

Cosa farebbe Gesù, come si comporterebbe al mio posto? Cosa mi consiglierebbe? 
Cosa mi chiede in questo momento? 
Tali sono le domande che vengono spontaneamente in mente all’anima avida di vita interiore.

Per l’anima che va a Gesù mediante Maria, questa custodia del cuore acquista un carattere ancor più facilmente affettivo e ricorrere a questa buona Madre diviene un bisogno incessante del suo cuore.
Nona Verità. – Gesù Cristo regna nell’anima quando essa aspira ad imitarlo seriamente, in ogni cosa e con affetto. 

In questa imitazione vi sono due gradi:

1) L’anima si sforza di diventare indifferente alle creature in se stesse, siano esse conformi o contrarie ai suoi gusti. 
Sull’esempio di Gesù, in tutte le cose
non accetta altra legge che la volontà di Dio: «Sono disceso dal Cielo per fare non la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha inviato» (Gv. 6, 38).

2) «Cristo non cercò la propria soddisfazione» (Rom. 15, 3). 

L’anima tende più volentieri a ciò che è contrario e ripugna alla natura. Essa allora mette in pratica l’ «agendo contra» di cui parla Sant’Ignazio nella celebre
meditazione sul Regno di Cristo, è l’azione contro la natura per andare di
preferenza a ciò che imita la povertà del Salvatore e il suo amore per le sofferenze
e le umiliazioni.

Allora l’anima, secondo la parola di San Paolo, conosce veramente Cristo: «Didicistis Christum» (Ef. 4, 20).


Decima Verità. – In qualunque stato io mi trovi, se voglio pregare e diventare fedele alla sua grazia, Gesù mi offre tutti i mezzi per ritornare ad una vita interiore che mi restituisca la sua intimità e mi permetta di sviluppare la sua vita in me.

 Allora, nel progredire, l’anima non cesserà di possedere la gioia anche in mezzo alle prove e si realizzeranno in lei quelle parole di Isaia:
 «Allora la tua luce spunterà come l’aurora, presto verrà la tua guarigione,
ti preverrà la tua giustizia e la gloria del Signore ti proteggerà. 

Allora tu pregherai e il Signore ti risponderà; appena alzerai la voce, egli dirà: Eccomi! (...) E il Signore ti darà eterno riposo e inonderà la tua anima di splendori, e darà vigore alle tue ossa, e tu sarai come un giardino irrigato e come una fontana di acqua viva alla quale non mancheranno mai zampilli»
 (Is. 58, 8-11).

Undicesima Verità. – Se Dio mi chiede di applicarmi non solo alla mia
santificazione, ma anche alle opere di apostolato, dovrò prima di tutto
formarmi nell’anima questa ferma convinzione: Gesù deve e vuole essere la
vita di queste opere.

I miei sforzi, da soli, non sono nulla, assolutamente nulla: 
«Senza di me non potere far nulla» 
(Gv. 15, 5); essi non saranno né utili né benedetti da Dio, se non li unisco costantemente all’azione vivificante di Gesù mediante una vera vita interiore. 
Essi diventeranno allora onnipotenti: 

«Tutto posso, in Colui che mi dà forza»
(Fil. 4, 13). 

Ma se questi sforzi provenissero da un’orgogliosa autosufficienza, dalla fiducia nei miei talenti e dal desiderio del successo, i miei sforzi sarebbero rigettati da Dio. 

Non sarebbe infatti una sacrilega follia da parte mia, se volessi rubare a Dio, per farmene bello, un poco della sua gloria?
Ben lungi dal rendermi pusillanime, tale convinzione sarà la mia forza. 

E come mi farà sentire il bisogno della preghiera per ottenere questa umiltà,
tesoro per l’anima mia, sicurezza dell’aiuto di Dio e caparra di successo per le mie opere!

Penetrato dall’importanza di questo principio, mi esaminerò coscienziosamente nei giorni di ritiro,
per verificare se non si è indebolita la  convinzione che la mia azione è nulla quando è sola ma è forte quando è
unita a quella di Gesù Cristo, se escludo spietatamente ogni compiacenza,
ogni vanità ed ogni ripiegamento su me stesso nella mia vita di apostolo, se
mi mantengo in un’assoluta diffidenza di me stesso, e se prego Dio di vivificare ogni mia opera e di preservarmi dall’orgoglio, ch’è il primo e principale ostacolo al suo aiuto.

Questo credo della vita interiore, una volta divenuto per l’anima la base
della sua esistenza, le assicura fin da questa vita una partecipazione alla
felicità celeste.

Vita interiore, vita di predestinati.
Essa corrisponde al fine che Dio si è
proposto nel crearci, ma corrisponde anche al fine dell’Incarnazione:
«Dio inviò nel mondo il Suo Figlio unigenito, affinché viviamo per Lui»
(1Gv., 4, 9).

E’ uno stato di beatitudine:
 «Il fine della creatura umana consiste nell’unirsi a Dio; in questo infatti consiste la sua felicità» 
(San Tommaso d’Aquino).

Al contrario delle gioie mondane, se fuori ci sono le spine, dentro ci sono le rose.
 «Come sono da compiangere i poveri mondani!», esclamava il santo curato d’Ars. Essi portano sulle spalle un mantello foderato di spine e non possono fare una mossa senza pungersi.

 I veri cristiani invece portano un mantello foderato di pelle di coniglio.
 «Si guarda la Croce, ma non si vede l’unzione» 
(San Bernardo).

E’ uno stato celeste in cui l’anima diventa un cielo vivente. 
Con santa Margherita Alacoque si può dire: «In ogni tempo posseggo e in ogni luogo porto il Dio del mio cuore e il cuore del mio Dio».
E’ il principio della beatitudine: 
«Una certa qual anticipazione dell’eterna beatitudine». 
La grazia è il Cielo in germe.