La disumanità dell'uomo non si materializza soltanto negli atti corrosivi dei malvagi. Si materializza anche nella corruttrice inattività dei buoni.

Martin Luther King

Se vedi la carità, vedi la Trinità.

( Sant'Agostino )

lunedì 13 gennaio 2014

Beaudenom

Formazione all'Umiltà

(continuazione)

(Esercizi spirituali)


Studio psicologico dell'Orgoglio

Per preparare lo spirito alle due meditazioni che seguono.

Si dà comunemente il nome di orgoglio a due difetti che peraltro sono di differente natura: la stima eccessiva di sé, e il desiderio eccessivo della stima degli altri. Essi non hanno né la stessa origine, né gli stessi caratteri, né lo stesso modo di azione, né gli stessi effetti.

La stima eccessiva di sé va congiunta con il sentimento della dignità personale, del quale esso è un'esagerazione viziosa; e il desiderio della stima degli altri, con il nostro istinto di socievolezza. Esso è vizioso solo in quanto cerca un posto che non gli è affatto dovuto, o che lo fa desiderare con preoccupazioni eccessive.

2. Ciò che autorizza a dare indifferentemente a questi due difetti il nome di orgoglio è perché e l'uno e l'altro hanno per oggetto l'esaltazione dell'io: il primo si sopraesalta ai propri occhi, e il secondo vuol essere sopraesaltato agli occhi degli altri.

3. Malgrado questo ravvicinamento finale, queste due tendenze debbono essere studiate separatamente se vogliamo metterci in grado di analizzare a fondo noi stessi e di governarci come conviene. La maggior parte dei trattati su questa materia sono ripieni d'insegnamenti confusi, di qualificazioni arbitrarie e di mezzi male appropriati perché non stabiliscono queste distinzioni essenziali.

II.

Dobbiamo noi forse dichiarare a queste due tendenze una guerra cosi spietata che abbia in mira di annientarle completamente? L'umiltà non ha davvero per scopo di distruggere il sentimento della dignità personale, né il desiderio della stima, ma di regolarli; essa non li abbassa, anzi li innalza, perché, liberandoli da ogni eccesso, li mantiene nella loro bellezza, nella loro forza, nel loro utile ufficio.

1. Infatti, il sentimento della stima di sé è, in se stesso, legittimo Iddio l'ha posto nella nostra natura per sostenere la nostra personalità, col darci la coscienza della bontà delle nostre idee, delle nostre forze e de' nostri diritti. Senza di esso, l'uomo cadrebbe facilmente in quella fiacchezza che né sa intraprendere quel che è pericoloso, né difendere ciò che è assalito, esso gli infonde, con l'esercizio del comando, quella fiducia che, sola, attrae l’obbedienza, con gran vantaggio dei subordinati.
Sotto la sua influenza, l'anima pia, elevandosi più in alto, ammira la perfezione cristiana che è la grandezza personale per eccellenza; e s'invaghisce della gloria di Dio, che è l'oggetto più nobile a cui possa aspirare l'ambizione d'un cuore grande.

2. Il desiderio della stima è anch'esso un sentimento onesto e vantaggioso; è un segno di considerazione verso gli altri, una specie di sottomissione al loro giudizio. Molti, che i motivi soprannaturali lascerebbero indifferenti, in grazia di esso, compiono senza fatica atti di generosità e di sacrificio che trascurerebbero e ai quali nemmeno porrebbero mente. Molti devono ad esso se si sono mantenuti nei confini del dovere, o, almeno, se ne hanno conosciuto meglio le finezze.

La ragione, adunque, non esige che ci spogliamo di questa tendenza, ma che la discipliniamo e la governiamo; dirò anzi molto di più; quando essa è signoreggiata da nobili sentimenti, spande su la virtù qualche cosa che la rende più attraente, poiché ciascuno di noi ama vedere apprezzate le lodi che tributiamo e quasi per istinto ci affratelliamo a colui che ci procura questa gioia.
Ciò che è umano resta senza dubbio un principio d'alterazione, come purtroppo ce lo insegna l'esperienza; ma tuttavia comunica anche una certa spontaneità che rende l'azione più facile a chi la compie, e più amabile a chi la riceve.

3. Sembra che il sentimento dell'onore appartenga più a questa seconda tendenza, poiché l'onore è fatto della stima generale; è l'apprezzamento di tutti che detta le sue leggi e aggiudica le sue ricompense; ed alle sue leggi noi ci assoggettiamo, come aspiriamo alle sue ricompense. Tuttavia, chi cerca l'onore solo per goderne, non è virtuoso, perché il movente primo dei nostri sforzi dev'essere il bene. 

Chi ne fa sua regola, senza ricercare altro, non agisce da saggio, perché l'opinione può dare giudizi sbagliati.
Quantunque l'onore risieda fuori di noi, sulle labbra degli altri, pure può entrare in noi e regnare nella nostra coscienza. Allora l'uomo, più sensibile all'onore che agli omaggi, da più peso alla propria opinione che ai principii, e preferisce la propria stima alla stima del pubblico. Qui siamo nel dominio della prima tendenza che ha di mira la dignità.

Il desiderio della stima considera l'onore come un bene sociale, del quale vuole la sua parte; la stima di sé come un bene che gli spetta per diritto.
Non si può negare che l'onore eserciti una felice influenza nella vita sociale e sopra il perfezionamento dell'individuo. Se si trova congiunto a nobili principii, da loro un forte aiuto, e ne riceve una direzione eccellente; se rimane solo, conserva almeno qualche resistenza e tramanda anche qualche splendore.
Essendo l'onore il prodotto dell'opinione, ed essendo l'opinione il risultato delle idee che regnano in un ambiente, è facile conoscere a qual grado di elevazione può giungere un gruppo d'uomini, un popolo, al contatto delle verità, della fede.

III.

Non è il peccato che ha posto queste due inclinazioni nella nostra natura; vi sarebbero state sempre; il peccato non ha fatto altro che renderle eccessive, e creare loro dei pericoli esterni. 
Esse vengono da Dio; dunque, in se stesse, sono buone;
e rimangono buone nel loro esercizio fino a tanto che non escono dai loro giusti confini; è l'umiltà che provvede a ciò.

Se persone virtuose fanno ad esse cattiva cera e assolutamente le riprovano senza ben considerarle, ciò è forse a loro insaputa, per evitare di combattere; perché è molto più facile distruggere una forza che mantenerla costantemente nel suo regolare esercizio.
Questa mutilazione è, d'ordinario, effetto di una certa grettezza di spirito e produce deformazioni lamentevoli, secca l'anima, rende lo spirito dubbioso, e comunica ai modi esterni quel non so che di manierato e di meschino che scredita la virtù.

IV.

Si sente dire comunemente che l'orgoglio nasce dalla stima di sé, e che la vanità discenderebbe dal desiderio della stima. Questo modo di giudicare non ci sembra giusto; poiché sì è vani quando si stima in noi qualche pregio meschino; ma non si è tali quando il desiderio della stima ci porta ad operare grandi cose. Non si può dunque dare il nome di vanità alla tendenza, ma al suo oggetto. Le ricchezze trasmesseci, l'eleganza delle vesti, e l'addobbo della casa niente aggiungono al nostro vero valore. La bellezza, l'arguzia innata, la stessa intelligenza non sono un merito, ma un dono, e, tuttavia (notiamolo ad umiliazione della ragione umana), quando trattasi di patrimoni e di lavoro, ci sentiamo più orgogliosi di ciò che abbiamo ricevuto senza fatica, che di ciò che abbiamo acquistato col valore: l'uomo arricchito col proprio ingegno e con la propria attività, è meno considerato d'un impinguato erede, ed il lavoratore è posposto ad uno spirito arguto. E questa è vanità vera! Vanissimo è pure il desiderio d'una stima, spesso ben poco meritata, e sempre fugace.
Vi sono grandi ambizioni come vi sono grandi caratteri. Le grandi ambizioni danno impulso a sforzi potenti e sospingono ad atti di valore, come i grandi caratteri, ma con un movente diverso.
Nelle prime è la fama che attrae, nei secondi è la dignità che comanda. La fama è fuori di noi, la dignità risiede in noi stessi. Questi due moventi possono essere affetti d'orgoglio senza meritare il rimprovero d'essere vani; la vanità diventa la caratteristica ugualmente propria di queste due tendenze, quando esse si abbassano.

V.

Riassumiamo adesso tutta questa dottrina:

1- II compito diretto dell'umiltà è di regolare il sentimento della stima di sé e il desiderio della stima degli altri.
Questa definizione conviene ugualmente alla virtù puramente umana ed alla virtù soprannaturale dell'umiltà. Tutt'e due ci dicono: eccessi, no. 

- II punto dove si differenziano è nel giudicare questi eccessi. La virtù puramente umana forma questo giudizio soltanto con fa sua ragione, la virtù soprannaturale giudica anche essa con la ragione, ma con la ragione illuminata dai dogmi della fede; la caduta originale è la triste condizione in cui noi ci troviamo; la necessità assoluta della grazia e quella delle grazie di misericordia, sono verità rivelate che cambiano il punto di vista ed impongono un'umiltà più profonda e più supplichevole.
L'esempio di Gesù perfeziona in noi questa educazione presentandoci il suo ideale nel quale fa bella mostra di sé l'umiltà soprannaturale.
Questi lumi dall'alto e questi motivi di un'umiltà più che umana li ritroveremo nelle prossime meditazioni. Chiediamoci fin d'ora, se alla nostra virtù manchi perfino la semplice umiltà naturale.

2. La distinzione di queste due tendenze, il cui eccesso porta il nome comune di orgoglio, manifesta la necessità di una direzione particolare per ciascuna. Esse, infatti, differiscono nella loro fisionomia morale e nella loro natura intima. Una è la personalità di colui che è dominato dalla stima di sé, ed altra è la personalità di colui che e dominato dal desiderio delta stima degli altri.
Sono due costituzioni separate, che a certi segni caratteristici, spesso di lievissima importanza, si rivelano all'occhio dell'osservatore esercitato, come lo studio di un osso permette al naturalista di ricostituire un'intera specie animale.

Sia, dunque, ciascuno sollecito di classificarsi in una di queste due categorie se. dalle meditazioni che seguono vuol ricavarne il maggior frutto possibile. Gli ostacoli non sono gli stessi e i mezzi per superarli neppure; ed ognuno di questi organismi da rifarsi richiede un metodo diverso. Le condizioni generali, i mezzi generali sono prescritti per tutti, ma ciascuno ha il dovere d applicarli in ordine al proprio fine speciale.
(continua)