Beaudenom
Formazione all'Umiltà
(continuazione)
(Esercizi spirituali)
Studio psicologico dell'Orgoglio
Per preparare lo spirito alle
due meditazioni che seguono.
Si dà comunemente il nome di
orgoglio a due difetti che peraltro sono di differente natura: la stima
eccessiva di sé, e il desiderio eccessivo della stima degli altri. Essi non
hanno né la stessa origine, né gli stessi caratteri, né lo stesso modo di
azione, né gli stessi effetti.
La stima eccessiva di sé va
congiunta con il sentimento della dignità personale, del quale esso è
un'esagerazione viziosa; e il desiderio della stima degli altri, con il nostro
istinto di socievolezza. Esso è vizioso solo in quanto cerca un posto che non
gli è affatto dovuto, o che lo fa desiderare con preoccupazioni eccessive.
2. Ciò che autorizza a dare
indifferentemente a questi due difetti il nome di orgoglio è perché e l'uno e
l'altro hanno per oggetto l'esaltazione dell'io: il primo si sopraesalta ai
propri occhi, e il secondo vuol essere sopraesaltato agli occhi degli altri.
3. Malgrado questo
ravvicinamento finale, queste due tendenze debbono essere studiate
separatamente se vogliamo metterci in grado di analizzare a fondo noi stessi e
di governarci come conviene. La maggior parte dei trattati su questa materia
sono ripieni d'insegnamenti confusi, di qualificazioni arbitrarie e di mezzi
male appropriati perché non stabiliscono queste distinzioni essenziali.
II.
Dobbiamo noi forse dichiarare
a queste due tendenze una guerra cosi spietata che abbia in mira di annientarle
completamente? L'umiltà non ha davvero per scopo di distruggere il sentimento
della dignità personale, né il desiderio della stima, ma di regolarli; essa non
li abbassa, anzi li innalza, perché, liberandoli da ogni eccesso, li mantiene
nella loro bellezza, nella loro forza, nel loro utile ufficio.
1. Infatti, il sentimento
della stima di sé è, in se stesso, legittimo Iddio l'ha posto nella nostra
natura per sostenere la nostra personalità, col darci la coscienza della bontà
delle nostre idee, delle nostre forze e de' nostri diritti. Senza di esso,
l'uomo cadrebbe facilmente in quella fiacchezza che né sa intraprendere quel
che è pericoloso, né difendere ciò che è assalito, esso gli infonde, con
l'esercizio del comando, quella fiducia che, sola, attrae l’obbedienza, con
gran vantaggio dei subordinati.
Sotto la sua influenza,
l'anima pia, elevandosi più in alto, ammira la perfezione cristiana che è la
grandezza personale per eccellenza; e s'invaghisce della gloria di Dio, che è
l'oggetto più nobile a cui possa aspirare l'ambizione d'un cuore grande.
2. Il desiderio della stima è
anch'esso un sentimento onesto e vantaggioso; è un segno di considerazione
verso gli altri, una specie di sottomissione al loro giudizio. Molti, che i
motivi soprannaturali lascerebbero indifferenti, in grazia di esso, compiono
senza fatica atti di generosità e di sacrificio che trascurerebbero e ai quali
nemmeno porrebbero mente. Molti devono ad esso se si sono mantenuti nei confini
del dovere, o, almeno, se ne hanno conosciuto meglio le finezze.
La ragione, adunque, non esige
che ci spogliamo di questa tendenza, ma che la discipliniamo e la governiamo;
dirò anzi molto di più; quando essa è signoreggiata da nobili sentimenti,
spande su la virtù qualche cosa che la rende più attraente, poiché ciascuno di
noi ama vedere apprezzate le lodi che tributiamo e quasi per istinto ci
affratelliamo a colui che ci procura questa gioia.
Ciò che è umano resta senza
dubbio un principio d'alterazione, come purtroppo ce lo insegna l'esperienza;
ma tuttavia comunica anche una certa spontaneità che rende l'azione più facile
a chi la compie, e più amabile a chi la riceve.
3. Sembra che il sentimento
dell'onore appartenga più a questa seconda tendenza, poiché l'onore è fatto
della stima generale; è l'apprezzamento di tutti che detta le sue leggi e
aggiudica le sue ricompense; ed alle sue leggi noi ci assoggettiamo, come
aspiriamo alle sue ricompense. Tuttavia, chi cerca l'onore solo per goderne,
non è virtuoso, perché il movente primo dei nostri sforzi dev'essere il bene.
Chi ne fa sua regola, senza ricercare altro, non agisce da saggio, perché l'opinione può dare giudizi sbagliati.
Chi ne fa sua regola, senza ricercare altro, non agisce da saggio, perché l'opinione può dare giudizi sbagliati.
Quantunque l'onore risieda
fuori di noi, sulle labbra degli altri, pure può entrare in noi e regnare nella
nostra coscienza. Allora l'uomo, più sensibile all'onore che agli omaggi, da
più peso alla propria opinione che ai principii, e preferisce la propria stima
alla stima del pubblico. Qui siamo nel dominio della prima tendenza che ha di
mira la dignità.
Il desiderio della stima
considera l'onore come un bene sociale, del quale vuole la sua parte; la stima
di sé come un bene che gli spetta per diritto.
Non si può negare che l'onore
eserciti una felice influenza nella vita sociale e sopra il perfezionamento
dell'individuo. Se si trova congiunto a nobili principii, da loro un forte
aiuto, e ne riceve una direzione eccellente; se rimane solo, conserva almeno qualche
resistenza e tramanda anche qualche splendore.
Essendo l'onore il prodotto
dell'opinione, ed essendo l'opinione il risultato delle idee che regnano in un
ambiente, è facile conoscere a qual grado di elevazione può giungere un gruppo
d'uomini, un popolo, al contatto delle verità, della fede.
III.
Non è il peccato che ha posto
queste due inclinazioni nella nostra natura; vi sarebbero state sempre; il
peccato non ha fatto altro che renderle eccessive, e creare loro dei pericoli
esterni.
Esse vengono da Dio; dunque, in se stesse, sono buone;
Esse vengono da Dio; dunque, in se stesse, sono buone;
e rimangono buone nel loro
esercizio fino a tanto che non escono dai loro giusti confini; è l'umiltà che
provvede a ciò.
Se persone virtuose fanno ad
esse cattiva cera e assolutamente le riprovano senza ben considerarle, ciò è
forse a loro insaputa, per evitare di combattere; perché è molto più facile
distruggere una forza che mantenerla costantemente nel suo regolare esercizio.
Questa mutilazione è,
d'ordinario, effetto di una certa grettezza di spirito e produce deformazioni
lamentevoli, secca l'anima, rende lo spirito dubbioso, e comunica ai modi
esterni quel non so che di manierato e di meschino che scredita la virtù.
IV.
Si sente dire comunemente che
l'orgoglio nasce dalla stima di sé, e che la vanità discenderebbe dal desiderio
della stima. Questo modo di giudicare non ci sembra giusto; poiché sì è vani
quando si stima in noi qualche pregio meschino; ma non si è tali quando il
desiderio della stima ci porta ad operare grandi cose. Non si può dunque dare
il nome di vanità alla tendenza, ma al suo oggetto. Le ricchezze trasmesseci,
l'eleganza delle vesti, e l'addobbo della casa niente aggiungono al nostro vero
valore. La bellezza, l'arguzia innata, la stessa intelligenza non sono un
merito, ma un dono, e, tuttavia (notiamolo ad umiliazione della ragione umana),
quando trattasi di patrimoni e di lavoro, ci sentiamo più orgogliosi di ciò che
abbiamo ricevuto senza fatica, che di ciò che abbiamo acquistato col valore:
l'uomo arricchito col proprio ingegno e con la propria attività, è meno
considerato d'un impinguato erede, ed il lavoratore è posposto ad uno spirito
arguto. E questa è vanità vera! Vanissimo è pure il desiderio d'una stima,
spesso ben poco meritata, e sempre fugace.
Vi sono grandi ambizioni come
vi sono grandi caratteri. Le grandi ambizioni danno impulso a sforzi potenti e
sospingono ad atti di valore, come i grandi caratteri, ma con un movente
diverso.
Nelle prime è la fama che
attrae, nei secondi è la dignità che comanda. La fama è fuori di noi, la
dignità risiede in noi stessi. Questi due moventi possono essere affetti
d'orgoglio senza meritare il rimprovero d'essere vani; la vanità diventa la
caratteristica ugualmente propria di queste due tendenze, quando esse si
abbassano.
V.
Riassumiamo adesso tutta
questa dottrina:
1- II compito diretto
dell'umiltà è di regolare il sentimento della stima di sé e il desiderio della
stima degli altri.
Questa definizione conviene
ugualmente alla virtù puramente umana ed alla virtù soprannaturale dell'umiltà.
Tutt'e due ci dicono: eccessi, no.
- II punto dove si differenziano è nel giudicare questi eccessi. La virtù puramente umana forma questo giudizio soltanto con fa sua ragione, la virtù soprannaturale giudica anche essa con la ragione, ma con la ragione illuminata dai dogmi della fede; la caduta originale è la triste condizione in cui noi ci troviamo; la necessità assoluta della grazia e quella delle grazie di misericordia, sono verità rivelate che cambiano il punto di vista ed impongono un'umiltà più profonda e più supplichevole.
- II punto dove si differenziano è nel giudicare questi eccessi. La virtù puramente umana forma questo giudizio soltanto con fa sua ragione, la virtù soprannaturale giudica anche essa con la ragione, ma con la ragione illuminata dai dogmi della fede; la caduta originale è la triste condizione in cui noi ci troviamo; la necessità assoluta della grazia e quella delle grazie di misericordia, sono verità rivelate che cambiano il punto di vista ed impongono un'umiltà più profonda e più supplichevole.
L'esempio di Gesù perfeziona
in noi questa educazione presentandoci il suo ideale nel quale fa bella mostra
di sé l'umiltà soprannaturale.
Questi lumi dall'alto e
questi motivi di un'umiltà più che umana li ritroveremo nelle prossime
meditazioni. Chiediamoci fin d'ora, se alla nostra virtù manchi perfino la
semplice umiltà naturale.
2. La distinzione di queste
due tendenze, il cui eccesso porta il nome comune di orgoglio, manifesta la
necessità di una direzione particolare per ciascuna. Esse, infatti,
differiscono nella loro fisionomia morale e nella loro natura intima. Una è la
personalità di colui che è dominato dalla stima di sé, ed altra è la
personalità di colui che e dominato dal desiderio delta stima degli altri.
Sono due costituzioni
separate, che a certi segni caratteristici, spesso di lievissima importanza, si
rivelano all'occhio dell'osservatore esercitato, come lo studio di un osso
permette al naturalista di ricostituire un'intera specie animale.
Sia, dunque, ciascuno
sollecito di classificarsi in una di queste due categorie se. dalle meditazioni
che seguono vuol ricavarne il maggior frutto possibile. Gli ostacoli non sono
gli stessi e i mezzi per superarli neppure; ed ognuno di questi organismi da
rifarsi richiede un metodo diverso. Le condizioni generali, i mezzi generali
sono prescritti per tutti, ma ciascuno ha il dovere d applicarli in ordine al
proprio fine speciale.
(continua)