La disumanità dell'uomo non si materializza soltanto negli atti corrosivi dei malvagi. Si materializza anche nella corruttrice inattività dei buoni.

Martin Luther King

Se vedi la carità, vedi la Trinità.

( Sant'Agostino )

sabato 1 febbraio 2014


Dipinto dell'esimia Artista Liz Lemon Swindle




Fedeltà alle piccole cose 

(5 febbraio 1956) 





Se leggiamo il Vangelo non vediamo che Gesù obbedisca a un regolamento. Egli vive in una piena, in una pura libertà la sua vita divina. Anche per noi sarà così quando avremo raggiunto la perfezione. Per noi sarà così quando saremo in Paradiso, perché la perfezione non la si raggiunge che in Paradiso.
La nostra vita soprannaturale è imperfetta non soltanto per i peccati che commettiamo, per le abitudini contratte, per l'incapacità della nostra volontà a rimaner ferma, decisa, forte in tutte le situazioni in cui viene a trovarsi; anche se noi fossimo del tutto liberi dal peccato e dalle imperfezioni volontarie, non sarebbe sufficiente perché ci potessimo liberare senza danno da ogni regolamento, per poterci esimere dalla fedeltà a una certa regola di vita. Non sono soltanto le imperfezioni morali quelle da cui dobbiamo guardarci; nella nostra vita spirituale dobbiamo tener conto anche delle imperfezioni e delle debolezze della stessa natura umana.
L'uomo, così com'è, oggi di fatto non può essere sempre desto, non può, non è capace di vivere una vita di continua tensione che importi una piena e continua coscienza di quello che fa e una piena deliberazione nel suo agire. La massima parte dei nostri atti sono atti "remissi", come dice la teologia, cioè, in parole povere, fatti nel dormiveglia. Noi crediamo di non dormire mai, e praticamente, invece, non siamo mai svegli. In tutta la nostra giornata sono centinaia di migliaia gli atti che compiamo, sia interni che esterni: sentimenti che si susseguono, volizioni, velleità, volontà più o meno chiare ed esplicite, pensieri, impressioni... Ma quanti di questi atti sono pienamente volontari, pienamente coscienti? Quanti? Pochissimi, forse nessuno. Passano dei giorni in cui non abbiamo emesso nemmeno un atto pienamente libero e cosciente che impegni tutte le nostre potenze spirituali. Viviamo così..., un po' per abitudine. Ci lasciamo un po' condurre dalle cose, influenzare dall'ambiente, portare dagli avvenimenti. Siamo portati a rimorchio. Certo, se l'ambiente, se l'atmosfera in cui viviamo... urtassero troppo i nostri sentimenti cristiani o le nostre abitudini comuni, insorgerebbe allora immediatamente la coscienza e anche si imporrebbe un atto di volontà. Ma la nostra vita è talmente tranquilla! Sappiamo bene quello che dobbiamo fare ogni giorno: dobbiamo visitare gli stessi ambienti, avere a che fare con le stesse persone, compiere le stesse cose... Così non siamo mai urtati da avvenimenti esteriori in tal modo da essere richiamati violentemente e drammaticamente ad assumere il controllo pieno dei nostri atti. Si vive così... un po' alla buona. E non è mica male: è una difesa del nostro organismo, della nostra vita, questo agire così fiaccamente, questo essere portati un poco dalle cose. Anche gli uomini dalla volontà più potente, più creativa, più originale, nella massima parte della loro giornata sono portati. Napoleone era un grandissimo uomo, ma forse doveva dipendere dal suo cameriere per quello che riguardava il mettersi il colletto o l'allacciarsi le scarpe.
È così. È inevitabile che sia così. Siamo degli esseri tanto delicati! L'uomo è anche più delicato dell'animale: l'equilibrio fra l'anima e lo spirito è talmente sottile che basterebbe una tensione troppo viva a consumarci in poco tempo. O si impazzisce o si muore. Abbiamo bisogno di una certa distensione. Ma se abbiamo bisogno di una certa distensione, e perciò di atti remissi, si impone che questi atti remissi siano precisamente secondo quell'impegno che noi abbiamo preso, che cioè la massima parte della nostra vita non contrasti, non venga in urto con l'impegno che ci siamo assunto: la nostra vita di abitudini, la nostra vita ordinata, regolata e dall'ambiente e dai rapporti e dal lavoro continuo e dalle abitudini contratte, deve essere tale da non ostacolare il nostro cammino a Dio, ma piuttosto di favorirlo.
La santità non consiste nelle abitudini, nella regola, nel vivere in un certo ambiente. Mica io sono santo perché vivo chiuso in una cella, in un eremo; mica son santo perché non vedo nessuno, perché mi alzo alle tre di notte e vado in cappella per quattro ore del giorno e poi mangio soltanto l'erba e non tocco mai carne. Mica son santo per questo! Ma, indubbiamente, queste cose che a un certo punto della mia vita non pesano più perché diventano abitudine, così come diventa pesante per il certosino trovarsi in mezzo alla gente, ebbene, tutte queste cose favoriscono il mio impegno religioso. Se io non vivo un impegno religioso, indubbiamente non sono queste pratiche che mi fanno santo; ma se io vivo un impegno e non rimango fedele a una regola di vita, e non vivo in una certa atmosfera che lo favorisca, praticamente il mio impegno è un fuoco di paglia. Lì per lì ci sembra di toccare il cielo con un dito, crediamo di raggiungere in pochi giorni la santità, e dopo tre settimane ci accorgiamo che siamo gli stessi, tali e quali, con le stesse reazioni e con gli stessi attaccamenti di prima a noi stessi, al mondo, alle nostre imperfezioni, ai nostri peccati.
Bisogna che noi siamo fedeli a certe pratiche; bisogna riconoscere l'importanza che esse hanno. La fedeltà alle piccole pratiche serve a creare delle abitudini che, se non favoriscono, almeno non ostacolano la vita religiosa, non creano una mentalità che contrasti con l'impegno religioso assunto. Rendiamocene conto: noi possiamo essere dei bravissimi cristiani. Se si legge il giornale tutti i giorni, senza rendercene conto acquistiamo la mentalità di chi lo scrive; se andiamo nei salotti, magari a far dell'apostolato, praticamente si diventa dei pettegoli anche noi. In un primo tempo non ce ne accorgiamo; cerchiamo di non mancare alla carità, anzi, facciamo dei discorsi buoni; ma piano piano subiamo l'influenza dell'ambiente, siamo portati alla deriva e diventiamo anche noi come gli altri.
Certe rinunzie non hanno soltanto il valore di una mortificazione, hanno il valore invece di creare delle possibilità all'anima, o piuttosto di togliere all'anima gli ostacoli che impediscono l'adempimento del suo impegno. Nostro Signore poteva andare anche nei salotti, e ci andava, ma Gesù non fu mai passivo di fronte alle cose; noi, invece, siamo sempre più o meno passivi anche di fronte alle cose, e ne subiamo l'influenza. Subiamo l'influenza del sacerdote che ci parla, ma anche del cameriere che ci serve, dei libri che leggiamo, dei discorsi che ascoltiamo, dell'ambiente che frequentiamo. Sentiamo l'influenza di tutte le cose e non ce ne rendiamo conto.
La fedeltà a certe pratiche ha grande importanza: prima di tutto, ci immunizza di fronte ad altre abitudini che potremmo contrarre e che ostacolerebbero la nostra vita religiosa. Se non siamo fedeli a un regolamento, si contraggono ugualmente delle abitudini e, perché abitudini, non si contraggono in forza di un impegno religioso, ma in forza di un consenso ai nostri istinti, magari alla nostra pigrizia.
La fedeltà al regolamento ci sostiene, bisogna mantenerci fedeli. Ci ordina. Non soltanto un regolamento riguardo all'orario, ma anche riguardo ai luoghi, alle occupazioni, ecc. Io debbo proibirmi di andare in certi luoghi; la mia cella deve essere il luogo del mio lavoro; i miei rapporti debbono essere con le tali persone. Certo, tutto questo non deve escludere la mia libertà; ma andare contro il regolamento deve importare per me la coscienza che questo fatto direttamente favorisce il mio impegno religioso, cioè una libertà da quell'automatismo cui sono dovuti in massima parte i miei atti. Ogni infrazione al regolamento suppone l'esercizio di una volontà che deliberatamente si determina ad altro per un cosciente rifiuto alla grazia o per una docilità maggiore a quanto essa chiede.

Noi siamo impegnati a fare qualche particolare esercizio di pietà. Sapete che sostegno può essere la fedeltà a questo esercizio? Non parlo delle preghiere obbligatorie, ma di quelle cui siamo impegnati per conto nostro. La nostra vita religiosa, per un certo movimento automatico, si lega e si ravviva attraverso certi atti che sono divenuti comuni, e quasi necessari, alla nostra vita. Insomma, c'è un automatismo nelle nostre azioni e reazioni, nella nostra volontà e intelligenza, che ha la sua importanza e bisogna rendersene conto. Noi siamo figli delle nostre abitudini piuttosto che delle nostre decisioni.
Non ci rendiamo conto dell'importanza che può avere per la nostra mentalità, per la nostra devozione mariana, il Rosario. Non potete rendervi conto dell'importanza che può avere, fondamentale, grandissima, la lettura della sacra Scrittura. Manteniamoci fedeli, leggiamola! La Sacra Scrittura ci forma. Se il giornale ti forma, tanto più la Parola di Dio!
Bisogna mantenerci fedeli alle piccole pratiche. Ma quali sono? Voi non lo sapete, ma avete qualche cosa a cui rimanete fedeli, nonostante tutto, che dà un certo carattere di originalità alla vostra vita. Anche un certo lavoro potrebbe sciupare una vita religiosa, se abitua al gusto delle cose inutili, a veder tutto in una certa luce di bellezza. I soprammobili, le cose per benino, la casa borghese... Ci sono alcune anime più o meno refrattarie alle influenze, ma nessuno può mai dirsi del tutto immune dal subirle. Può essere anche che l'ambiente, il lavoro ecc., provochi invece una reazione, e contribuisca in senso positivo.
Non ci rendiamo mai conto di chi siano figli i nostri atti, di come ci siamo formati; ma indubbiamente tutto ci forma e, attraverso la fedeltà alle piccole cose, dobbiamo immunizzarci da tutto quello che potrebbe deformarci (il giornale, il cinema, i romanzi, le conversazioni ecc.) e abbandonarci piuttosto all'azione segreta di tutto quello che può plasmarci - anche se non ce ne rendiamo conto - secondo quell'ideale di perfezione a cui Dio ci ha chiamati.
Siamo quello che siamo: figlioli della nostra epoca, delle nostre abitudini, del nostro ambiente, del nostro lavoro, delle nostre azioni. Ora, per liberarci da tutte queste influenze, per essere a servizio di una vocazione religiosa che abbiamo ricevuta da Dio, per essere sempre più disponibili alla grazia, per poter rispondere all'impegno di perfezione a cui siamo chiamati, che cosa fare? Dobbiamo riacquistare una libertà di fronte a tutte queste influenze che subiamo, che subiamo involontariamente, inconsciamente. Per questo si impone un distacco. Il distacco di per sé non è santo, ma ci libera da influenze che, se non sono colpevoli, ci rendono indisponibili alla grazia. Il distacco ci sottrae al nostro ambiente, e allora l'anima si rende più facilmente disponibile di fronte a una grazia che non è legata a noi, anche se si vale di tutto.
Il santo non è mai pienamente libero di fronte alla sua epoca, all'influenza che subisce da parte della sua epoca, del suo popolo, dell'ambiente in cui vive. Tutto questo è vero. Ma è anche vero che il santo subisce meno queste influenze di quanto non le subiscano gli altri. Il santo non le subisce più passivamente, ma una volta che si è veramente immunizzato di fronte ad una influenza inconsapevole, allora fa consapevolmente servire tutto questo al suo impegno religioso: l'ambiente, il lavoro che fa, la funzione che esercita.
Ora, perché noi ci possiamo sottrarre un poco al nostro ambiente, all'atmosfera che respiriamo, al lavoro, alla famiglia, si impone una rottura; rottura che per noi non può avvenire col lasciare la famiglia, la patria, la lingua, col lasciare tutti i beni di una civiltà che è la nostra; la vocazione non ci chiede questo, perché dobbiamo rimanere nel mondo, e anche se non viviamo insieme rimaniamo però in Italia, e anche se non rimanessimo in Italia oggi è difficilissimo escludere i beni di una civiltà che sono diventati universali. Ma noi ci immunizzeremo attraverso un certo regolamento, attraverso delle pratiche particolari volute da noi, che sono scelte da noi e che possono in qualche modo darci una certa libertà.

Vorrei dirvi l'importanza che hanno le piccole cose nella vita spirituale. Non grandi discorsi, non grandi idee che possono illuderci invece di educarci, fintanto che non sappiamo realizzare queste grandi idee in una vita totalmente di Dio; fintanto che siamo legati alle cose umane, al mondo. I grandi discorsi possono entusiasmarci, ma poi ci lasciano più poveri ancora, perché meno consapevoli della nostra miseria, illusi di aver realizzato quello che invece è ancora molto lontano da noi. Certo, la vita spirituale non consiste nelle piccole cose. Sarebbe errato dire che la vita spirituale consiste nel dire il Rosario, l'Ufficio, nel non fare spese che non siano necessarie, nell'essere fedeli a un regolamento. Ma tutto questo ha anche la sua importanza.
Siamo uomini, e come tali nelle nostre azioni siamo guidati da una volontà non sempre vigile e consapevole di quello che compie. Siamo in gran parte sorretti e portati da un certo automatismo morale. Abbiamo già visto che gli atti pienamente coscienti, pienamente umani, nella nostra giornata sono pochi, e più spesso interiori. Per questo dobbiamo acquistare delle abitudini, purché siamo fedeli a quegli impegni ai quali siamo legati. Le piccole fedeltà danno un tono speciale alla nostra vita.
Se qualcuno sente il dovere di non perdere il tempo in discorsi inutili e sfugge le persone che glielo fanno perdere, forse potremmo anche criticarlo, perché la santità dovrebbe importare una interiore libertà a certe formule e a certi mezzi; ma la libertà è un grande peso per l'anima. Nella comunità non ci sono proibizioni, ma ciascuno di noi ha già tuttavia una sua linea di condotta, un modo di agire al quale deve rimanere fedele.
Si può dire: ma essere legati alle regole non toglie freschezza al nostro amore? Il pericolo c'è, sì, ma è minore dell'altro pericolo, che cioè il non sentirsi legati a nulla tolga all'anima il sostegno più efficace alla sua vita religiosa. Troppi sono gli atti che compiamo per abitudine, per mimetismo, ed è inevitabile. L'uomo assai difficilmente potrebbe durare in una vigilanza continua e in una continua tensione di spirito.
Considerate le comunità religiose: non si potrà mai capire l'importanza della fedeltà alle piccole pratiche, ai piccoli doveri, finché non abbiamo vissuto la vita conventuale. È anche vero che queste anime abituate ad una regola, a un ritmo costante di vita, facilmente si sbandano se portate fuori. Ma come è più frequente e grave la dissipazione delle anime che non hanno il sostegno naturale di una regola, di un abituale ritmo di vita!
Dobbiamo impostare la nostra vita in modo da rendere più facile l'adempimento della nostra volontà a vivere l'impegno religioso assunto. Si deve vedere un poco come organizzare la nostra giornata, la nostra settimana, la nostra vita di famiglia, la nostra vita a scuola, all'ufficio, col prossimo. C'è un pericolo, certo, in questa organizzazione di una vita che dovrebbe essere invece libertà pura, continua novità di amore. Ma il pericolo, per anime che vivono nel mondo, è meno grave di quello che importerebbe lo sganciarsi dalla fedeltà a un regolamento per affidarsi, istante per istante, agli impulsi. Già troppa è la nostra libertà; un minimo di regola nel nostro vivere è necessario. Si è obbligati a vivere una vita che faciliti l'impegno che ci si è presi col Signore. Tutta la tua vita dovrà in qualche modo sentire la necessità di mettersi sotto un certo legame, in modo che alcune cose devono essere eliminate, altre corrette, altre guidate.
Dobbiamo vedere che cosa facciamo per realizzare tutto quello che il Signore ci ispira interiormente. Che cosa offriamo alla grazia perché ci faccia raggiungere quello che ci ha fatto desiderare. Dobbiamo curare quello che ci conduce a questa vita: le conversazioni, il lavoro, il dormire, il mangiare. Sono obbligato a seguire, debbo mantenermi fedele a tutto quello che favorisce la risposta alla mia vocazione. Ascoltare una meditazione vuol dire essere sollecitati da Dio a un impegno; ma siamo soggetti a severa condanna se non cercheremo poi di realizzare quello che la meditazione ci ha interiormente ispirato.
Ognuno di noi riceve una grazia e ognuno di noi, secondo la grazia ricevuta, deve giudicare che cosa gli è chiesto: che si elimini qualche cosa, che si dia più tempo alla preghiera, che ci si dia di più alla carità. Il Signore può chiedermi di essere più fedele ad alzarmi al mattino, più fedele a certe letture, alla meditazione, più fedele alla preghiera. E io devo cercare di salvare il mio impegno religioso nell'umile fedeltà a queste piccole cose.

La vita spirituale è anche una progressiva liberazione da ogni legge: lo dice San Paolo. E San Giacomo dice che la legge del cristiano è la legge della libertà. Siamo impegnati ad essere liberi. Che cosa magnifica! Ma anche come difficile! L'uomo quaggiù non raggiungerà mai una liberazione perfetta. Certo, la vita spirituale è tanto più luminosa e vigorosa quanto più è semplice e libera. L'anima non si sente legata a nulla. Il santo non è più legato a nulla.
In certe Costituzioni di istituti religiosi si invita a procedere altre ogni Regola se mossi dallo Spirito di Dio. Così nella Regola di San Benedetto, così anche San Francesco, che scrive a frate Leone di fare la sua volontà. Uno dei nuovi istituti religiosi, Les petits frères de Jésus, vuole che si vada anche contro la legge per seguire un impegno di carità.
Tuttavia la massima parte della vita dell'uomo obbedisce ad un certo automatismo psichico. Pochissimi sono gli atti originali nell'uomo. Noi dipendiamo dall'ambiente, da certe abitudini contratte. Certo, quando compiamo degli atti anche influenzati dall'ambiente e dall'abitudine, non manca una certa volontà; ma l'abitudine ci inclina in un senso e quasi determina già il nostro cammino.
Un atto originale cosciente è quello della conversione. Ma questo atto si compie poche volte, mentre gli atti che compiamo durante la giornata sono migliaia. Che immensa attività noi compiamo ogni giorno! Attività interiore ben più ricca dell'attività esterna. E quali sono gli atti in cui siamo pienamente originali, in cui non obbediamo a un certo automatismo? Sono pochissimi. Anche il santo acquista il dominio delle proprie potenze assai lentamente. Il cammino della perfezione tende alla libertà, ma per giungervi l'anima deve liberarsi da un automatismo creato da influenze che non sono state volontarie e che non ordinano la vita al Signore. Può essere benissimo che l'anima preghi meglio in camera, in giardino, in soffitta piuttosto che in chiesa, ma non sempre quando è in giardino è raccolta, mentre la chiesa favorisce più facilmente la vita di raccoglimento. Le pratiche a cui l'anima deve essere fedele la inclinano ad un automatismo che la dispone al raccoglimento e alla preghiera.
La santità non consiste nelle pratiche e nella fedeltà alle pratiche che potrebbero invece fossilizzare l'anima. Quante anime pie che fanno tutte le cose per bene sono aride, vuote, meschine! La santità non consiste nella fedeltà alle pratiche, ma piuttosto è generata da atti originari. La fedeltà alle pratiche però può liberarci dalla schiavitù di un automatismo che di fatto ci rende meno disponibili alla preghiera. Siccome l'uomo obbedisce a un continuo automatismo, è meglio che questo automatismo sia favorevole alla vita di raccoglimento e di preghiera piuttosto che a una vita di dissipazione.
La fedeltà alle pratiche ha questo senso e questo valore: non un valore per sé, ma è un aiuto e un mezzo. Non dobbiamo sentirci più santi perché non andiamo al cinema, perché ci alziamo alle sei e andiamo alla Messa... Ci possono essere anime che non fanno questo e sono più sante di noi.
Tutte queste pratiche possono creare un'abitudine che scuote l'amore. Però è anche vero che se uno ascolta la Messa tutti i giorni e fa la Comunione e la meditazione, molto probabilmente vive in un'atmosfera che può sollecitare maggiormente la grazia, la quale può così trovare meno impedimenti nell'anima e sollevarla e portarla più in alto.
Che cosa fa di meno una Suora qualunque di quello che ha fatto Santa Teresa del Bambin Gesù? È più povera di amore.
Un certo automatismo è facile acquistarlo. I direttori degli istituti religiosi dicono che è facile abituare i novizi a una certa vita di pietà. Siccome la nostra vita risponde ad un automatismo, bisogna che questo sia la servizio di una grazia che per sé è ordinata a rompere ogni abitudine per donarci sempre nuova freschezza e più pura libertà.
Ci sono le Regole, dice San Benedetto, e tu devi obbedire; ma c'è sempre la possibilità di superare ogni regola nell'amore. Tuttavia, finché non c'è questo amore obbedisci alla Regola.
Se tu obbedisci ad un automatismo che ti distrae da Dio, troppo potente deve essere la grazia per scuoterti. E ti scuoterà. Ma quanto più facilmente la grazia ti darà la forza di superare questi tuoi modi, se questi tuoi modi sono tali da ordinarti già al Signore.
Quante volte nel dire il Rosario ci annoiamo! Quante volte la Sacra Scrittura ci stanca! Ma non ci rendiamo conto dell'importanza che deve avere nella nostra vita la fedeltà a un impegno che può non dirci nulla, ma ci libera tuttavia dalla schiavitù ad un automatismo che ci disperde, che ci distrae.
Mantenetevi fedeli: è un impegno di umiltà. È un impegno d'amore.
Mantenetevi fedeli alle piccole cose, alle piccole pratiche. Sono poche, ma sufficienti a mantenervi in un certo automatismo che vi ordina al Signore. Sarà un mezzo molto efficace anche di rinnovamento interiore, non in quanto la fedeltà crei la novità, ma in quanto vi rende più sensibili alla grazia.
Dobbiamo renderci indisponibili alla curiosità, alla dispersione, alle sollecitazioni della nostra intelligenza, della nostra sensibilità. E ci sentiamo meno disponibili con questi impegni per mezzo dei quali l'anima si pone a servizio della grazia e dell'amore.
La fedeltà alle piccole pratiche mantiene in una certa attenzione al Signore, onde l'anima possa vivere in una disponibilità al dono totale.
Vorrei che consideraste anche come la fedeltà a certe pratiche è anche impegno di umiltà, un impegno concreto: cose semplici e umili, che hanno molto peso nella vita religiosa. Molto spesso ci si compiace dei nostri desideri e ci illudiamo di aver realizzato quello che abbiamo soltanto intravisto: non possiamo realizzarlo se non con la fedeltà alle piccole cose.
Immenso è l'ideale che Dio vi fa talora intravedere nell'orazione, ma non crediamo di poter realizzare subito quello che l'anima ha intravisto. La vita spirituale ha delle leggi che sembrano ripetere le leggi della vita naturale. Molto spesso Dio ci fa intravedere fin dall'inizio la meta cui Egli ci chiama, ma questo ideale non possiamo raggiungerlo che attraverso un cammino lento e faticoso. E questo cammino che ci porta alla meta è precisamente la fedeltà alle piccole cose, a questi piccoli impegni, a queste piccole esigenze, alle quali soltanto oggi possiamo rispondere.
Se risponderemo oggi a quello che il Signore ci chiede oggi, acquisteremo la forza per rispondere a quello che ci dirà domani, per arrivare a quella libertà che risponde soltanto a una legge d'amore. Essere fedeli alla libertà vuol dire non essere più schiavi di nessuno, ma essere schiavi soltanto di Dio.

U.S.F.P.V. 



© Divo Barsotti