La disumanità dell'uomo non si materializza soltanto negli atti corrosivi dei malvagi. Si materializza anche nella corruttrice inattività dei buoni.

Martin Luther King

Se vedi la carità, vedi la Trinità.

( Sant'Agostino )

giovedì 15 maggio 2014

MEDITIAMO INSIEME AL MISTICO DON G. TOMASELLI

Don G.Tomaselli


LA MALDICENZA

Il parlare male del prossimo è un pec­cato molto comune; purtroppo non ne sono esenti neppure le persone che praticano la santa Religione.

Come la bestemmia sta facilmente nella bocca degli uomini, così la mormorazione sta specialmente nella bocca delle donne.

Il parlare male è frutto di leggerezza, perché non si riflette a ciò che si dice e non si misurano le funeste conseguenze di una parola imprudente.

Il Signore pare che abbia voluto mettere un riparo al pericolo di par­lare senza riflessione, collocando, per così dire, due cancelli davanti alla lingua, cioè i denti e le labbra. 

Chi vuol parlare a carico di altri, prima di mettere in attività la lingua pensi se è il caso di aprire i due cancelli, oppure se è meglio restare con la bocca chiusa.

Siccome non si bada a ciò, ecco perché si semina tanto male parlando! 

Quando non si sa parlare, meglio è tacere. Spesso ci si pente d'aver parlato, difficilmente di aver taciuto. 

Chi parla male degli altri, fa tre danni morali. 
Il primo lo reca all'anima pro­pria, macchiandola di peccato; 

il secondo dan­no lo fa a chi ascolta la mormorazione, perché pecca chi ascolta volentieri il mor­moratore; 

il terzo lo fa a colui del quale sparla, togliendogli l'onore.


Il buon nome.
Noi abbiamo i beni di fortuna, che sono le ricchezze; chi ci ruba qualche cosa, si chiama ladro.

Abbiamo la vita del corpo, che vale più delle ricchezze; chi toglie la vita al pros­simo, si chiama assassino.

Abbiamo la vita morale, cioè il buon nome, per cui possiamo stare in società onoratamente; per mezzo del nostro buon nome possiamo fare bene a noi ed agli altri. 

Il nome onorato è comunemente più apprez­zato della stessa vita del corpo; difatti chi ha perduto l'onore, spesso preferisce aver per­duto la vita.

Quando un miserabile, con una calunnia o con una grave mormorazione, ha tolto il buon nome e l'onore ad un individuo o ad un'intera famiglia, come si dovrebbe chia­mare? Ladro? ... Assassino? ... Peggio an­cora! Demonio in carne!


La calunnia.

È calunnia l'attribuire una colpa ad un innocente. Da non pochi si crede essere ca­lunnia soltanto l'incolpare innocentemente di atti di disonestà; invece è pure calunnia dare del ladro o dell'assassino o dell'irre­ligioso a chi non è tale, o attribuirgli altra mancanza. Calunniare di colpe gravi, è gra­ve peccato.

 Frutti nefasti.

La calunnia è l'arma dei vili e dei mal­vagi. Quando ci si vuol vendicare e non si può riuscire altrimenti, s'inventa un'accusa contro la persona odiata e si diffonde spu­doratamente; 

c'è chi non vi crede, 

c'e chi dubita dell'accusa e 

c'è chi l'ammette senz'al­tro.

 Ordinariamente la calunnia nasce da ge­losia. 

Risplendendo infatti qualcuno per bon­tà,
per virtù o per merito, così da eccellere sugli altri, suscita nei malvagi dapprima invidia e dopo forte gelosia.

Allora si tenta di oscurare la persona benemerita con incolparla di ciò che non ha commesso; 

per lo più la calunnia ottiene il suo scopo, perché il male suole essere più creduto del bene. 

Si vedono perciò il­lustri personaggi, che hanno coperto alte cariche civili e religiose, essere deposti al­l'improvviso; 

si vedono abili impiegati, mo­dello di onestà, essere allontanati dal loro ufficio, ove onoratamente guadagnavano il pane, ed essere anche imprigionati; 

si vedo­no ottime signorine, fiori di modestia cri­stiana, costrette a non uscire di casa per non essere segnate a dito come scandalose;

 inol­tre tante altre signorine, che hanno perduto dei buoni partiti di matrimonio, sono prese da rabbia o malinconia cronica e vanno a finire al manicomio o troncano la vita col suicidio. 

Ecco quali sono i frutti della ca­lunnia! Quanti torrenti di lacrime e di san­gue ha fatto versare la maledetta lingua!... C'è però un Dio giustissimo, il quale a suo tempo ripaga tutto e sa dare al calunniatore il meritato castigo!

Castigo del calunniatore.

S. Elisabetta, regina di Portogallo, era molto caritatevole. Oltre a fare l'elemosina personale, si serviva in modo particolare di un suo paggio, di nome Don Pedro. 

Que­sti era di molta virtù e perciò veniva 
sti­mato assai dalla regina. 
Un altro paggio ebbe di ciò grande gelosia e determinò di calunniarlo, nella speranza di farlo allon­tanare dalla corte.

Questo malvagio si presentò un giorno al re Díonigi e gli disse: Maestà, sappiatevi guardare! Il paggio Don Pedro ha delle mire segrete verso la regina! - Colorì la calunnia così bene, che il re sospettò forte­mente della sposa.

Il monarca non ebbe più pace e prese la risoluzione di disfarsi completamente
di Don Pedro. 

Passando un giorno vicino ad una fornace di calce, egli chiamò le per­sone che avevano da alimentare il fuoco e disse loro: Domani mattina vi manderò un paggio della corte e vi chiederà: « Sono stati eseguiti gli ordini del re? » Subito lo pi­glierete e lo getterete nella fornace ardente.

Ritornando al palazzo, il re chiamò il paggio che credeva cattivo e gli comandò di andare l'indomani di buon'ora a portare il messaggio ai lavoratori della fornace. 

Don Pedro la mattina seguente si avviò per tem­po al luogo stabilito; Dio però vegliava 
so­pra di lui e non permise che avesse a fare una morte così tragica. 

Passando difatti il buon paggio davanti a una chiesa e sentendo suonare il campanello della Consacrazione, vi entrò ed ascoltò la Messa. Finita questa, su­bito ne cominciò una seconda e poi una terza; volle ascoltare anche queste, per fare un atto di ossequio a suo padre, il quale sul letto di morte, dandogli l'ultima benedi­zione, gli aveva detto: Ti raccomando calda­mente di ascoltare sino alla fine tutte le Mes­se che vedrai incominciare.-

Intanto il re Dionigi, impaziente di sa­pere l'esito del suo disegno, chiamò l'altro paggio, il calunniatore, e lo mandò a chie­dere ai lavoratori della fornace se avessero eseguiti i suoi ordini. 

Appena presentatosi alle persone che avevano cura del fuoco, venne preso e gettato nelle fiamme.

Dopo non molto si presentò anche Don Pedro. - Avete eseguito, disse, gli ordini del re? - Sì, tutto è stato fatto! -

Quando il monarca Dionigi vide com­parire Don Pedro, pieno di meraviglia, si fece raccontare tutto e ammirò i disegni di Dio. 

Volle appurare meglio il suo sospetto e si convinse che Don Pedro era stato ca­lunniato da quel paggio cattivo.

Il fuoco della fornace fu per quel calun­niatore il preludio del fuoco eterno dell'in­ferno.


Riparazione.

Chi ruba è tenuto a restituire; chi uc­cide, è tenuto a riparare i danni; chi calun­nia, deve fare di tutto per ridare al prossimo il buon nome.

Chi non vede però quanto sia difficile riparare la calunnia? 
Si deve andare da chi ha sentito la falsa accusa e dire: Ciò che vi ho detto della tale persona, non è vero! - Se la notizia della calunnia si è diffusa, si deve pure diffondere la notizia che tutto è falso. 

Tutto questo importa umiliazione e non sempre si è disposti a sobbarcarsi a ciò.

Eppure, se il calunniatore non ripara così, non può essere perdonato dal confes­sore e perderà l'anima sua.

Quando dalla calunnia sono venuti dei danni, come la perdita dell'impiego o di al­tro, il calunniatore è tenuto in coscienza nei limiti del possibile a risarcire tutto. 
Come riparare certi danni, quando, ad esempio, si è gettata nella miseria una famiglia o si e troncato un avvenire ad una giovane? ... 
Tuttavia, come colui che deve sciogliere un grosso debito vi pensa e vi ripensa, così chi ha calunniato non dovrebbe riposare se non avrà riparato il male fatto.

Una buona lezione.

S. Filippo Neri, volendo dare una so­lenne lezione ad una donna, la quale facil­mente parlava male del prossimo, e qualche volta calunniava, le disse: Prendete una gal­lina, uccidetela e partatela qui. - La donna ubbidì.

Il Santo allora le ingiunse di andare per le vie di Roma e di spargere ad ogni passo una penna di gallina, gettandola per aria.

Fatto questo, la donna ritornò dal con­fessore, S. Filippo. - Padre, ho fatto la penitenza delle mie mormorazioni e delle calunnie.

Mi è costato un po' d'umiliazione l'andare in giro seminando le penne, ma al­meno ho scontato i miei peccati. - 

San Fi­lippo le rispose: Ancora siete alla prima parte della penitenza; rimane la seconda. 

- E quale sarebbe? - riprese la donna. - Ora dovete ritornare sulle stesse vie che avete percorse e raccogliere le penne che avete sparse, senza tralasciarne alcuna.

- Padre, ma che cosa dite? Come è mai possibile fare ciò? C'era vento quando spargevo le penne! A quest'ora il vento le avrà trasportate chissà dove! - Ebbene, conchiuse il Santo, come non è possibile raccogliere tutte le penne, così non è pos­sibile riparare tutto il male che voi avete fatto calunniando e mormorando! 
Le vostre parole a carico degli altri sono volate da persona a persona come le penne della gal­lina. 
Correggetevi una buona volta!

Giovò la lezione? È da sperare!