La disumanità dell'uomo non si materializza soltanto negli atti corrosivi dei malvagi. Si materializza anche nella corruttrice inattività dei buoni.

Martin Luther King

Se vedi la carità, vedi la Trinità.

( Sant'Agostino )

sabato 21 giugno 2014

Dal web. Un interessante articolo per riflettere...


DOVE SONO I PROFETI NELLA SOCIETÀ DELLA DISCORDIA E DELLA MENZOGNA? 



 NORMANNA ALBERTINI

Chissà se oggi è ancora il tempo dei profeti. Se anche adesso ci sono profeti in giro a gridare contro le ingiustizie, sbeffeggiati, ignorati o, addirittura, torturati e uccisi. Se Dio ancora parla per mezzo loro o se ci ha rinunciato, stanco delle nostre orecchie da mercante (in senso lato e in senso letterale, essendo il mondo in mano ai mercanti di denaro, di armi, di persone e di morte).

Certo, leggere o ascoltare fratel Arturo Paoli, padre Alex Zanotelli, don Luigi Ciotti, per esempio, già ti fa sperare nella pazienza infinita e nella misericordia (materna) di Dio, perché è indubbio che le loro voci abbiano dimensione profetica. Lo conferma in fatto che essi siano, il più delle volte -se non inascoltati- perlomeno dimenticati, affossati dalle onde melmose della disinformazione pilotata; qualche volta persino derisi, come fu di don Tonino Bello all’epoca della sua battaglia contro la guerra in Jugoslavia. 


Un’amica mi diceva che uno dei pochi “luoghi” in cui riusciva a trovare voci profetiche -e di verità- che le davano un soffio ristoratore di speranza era, da sempre, il Notiziario della Rete Radié Resch. Rivista “storica” dell’associazione, che da un po’ ha assunto come titolo “In dialogo”. Non a caso. 

La parola “dialogo” deriva dal greco ed è composta da due elementi: “dia” e “logos”. “Logos” significa ragione, significato, e anche (semplicemente) parola, discorso. “Dia” significa “in mezzo a” o “a mezzo a mezzo”. Quindi dia-logos vuol dire che ragione o significato non sono il monopolio di una parte ma affiorano nel rapporto o nella comunicazione tra parti o agenti. Il logos qui è un logos condiviso e dipende in maniera principale dalla partecipazione di diverse o molte persone. Si parla di “dialogo tra civiltà” in opposizione a uno “scontro di civiltà”, e di “dialogo tra religioni” come antidoto allo “scontro dei fondamentalismi”. Perché il dialogo emerge oggi in termini così importanti? Perché esso indica l’opposto dell’unilateralismo e del monologo.

La competizione che spinge gli individui a primeggiare non è interessata al dialogo, tutt’al più alla discussione. Ma la radice di “discussione” è “percussione”, “scuotimento”: una sorta di gioco del ping pong. L’oggetto, nel discutere, può essere esaminato da diversi punti di vista e questo può essere positivo. Tuttavia lo scopo di ogni gioco, di solito, è vincere, in modo che le opinioni del singolo vengano accolte dal gruppo, però una forte accentuazione sul vincere non è conciliabile con l’interesse alla verità. Il pensiero si forma dal modo in cui noi interagiamo (e dialoghiamo) l’uno con l’altro. In altri termini, la forma della conversazione (dialogante o competitivo/guerreggiante) ha effetti sia sul tipo di intelligenza (capacità di leggere la realtà) che emerge, sia sul tipo di comprensione che diventa possibile.

E solo dalla vera capacità di dialogo possono nascere la “com-passione” (sentire con) e la passione (amore) per la costruzione e ricostruzione di una vita sociale equa e giusta.

Chissà, dunque, se ancora Dio manda, oggi, i suoi profeti a indicarci errori e strada retta su cui convertire il nostro cammino.

Oggi, in questa che pare divenuta una società della menzogna. Una società della discordia, come titola il bel testo universitario “La società della discordia – Prospettive pedagogiche per la mediazione e la gestione dei conflitti”1, curato dal professor Federico Zannoni: “Il conflitto per sua natura coinvolge tutto e tutti in modo sistemico e sistematico, i suoi effetti si estendono anche a chi è esterno al conflitto, ma vicino a coloro i quali lo hanno provocato e innescato. 


Per il futuro prossimo i cambiamenti augurabili dovrebbero partire dalla “cura” delle relazioni interpersonali, dai conflitti che si annidano nel quotidiano per poi passare ai gruppi, agli Stati, al livello globale. Si tratta di imparare un nuovo linguaggio, un linguaggio “non violento” decodificando i propri conflitti in maniera non istintiva, incontrando le nostre e le altrui emozioni e paure senza farci trasportare in reazioni pulsionali e violente. (…) Tiziano Terzani ci ammoniva su come da violenza scaturisce violenza. Ci ricordava che solo interrompendo questo ciclo potevamo sperare in una qualche soluzione, ma constatava che nessuno era disposto a fare il primo passo. 

Argomentava che nessuna religione invita a uccidere, che da Eschilo a Shakespeare il teatro ha per secoli messo in scena l’inutilità della violenza nel risolvere le controversie. Più ancora che all’esterno, individuava le cause della guerra e della sopraffazione dentro di noi, in passioni come il desiderio, la paura, la vanità, l’ingordigia, l’insicurezza, l’orgoglio. Invitava a liberarcene lentamente. 

A cambiare atteggiamento. A cominciare a fare sì che la moralità prevalga sull’interesse, e quindi il giusto sul conveniente, nei momenti in cui effettuiamo delle scelte. 

Invitava a uscire allo scoperto, per educare i figli all’onestà anziché alla furbizia, per impegnarsi per i valori in cui crediamo. 

La determinazione può fare molto di più di quanto non facciano le armi e la distruzione. 

Tiziano Terzani ci chiedeva di fermarci, di prenderci il tempo per riflettere e restare in silenzio. Lo riteneva indispensabile quando pensava all’essere umano angosciato dalla vita che fa, impaurito dalla sua ombra e dal rumore dei suoi passi al punto che più corre per sfuggirvi più sente i passi rimbombare e l’ombra incalzarlo. 

Ci chiedeva di fermarci perché riteneva che era ancora possibile fare qualcosa. Sarebbe stata una buona occasione per cominciare un nuovo cammino, verso un futuro migliore. (…) La comunicazione alla rovescia è quella modalità, sempre più diffusa, di far parlare luoghi comuni e pregiudizi, dando ampio spazio a cliché che costituiscono poi barriere comunicative sempre più alte. Con il termine barriera comunicativa ci si riferisce a tutta quella modalità spesso inconscia che viene utilizzata nella vita di ogni giorno. 

Le parole usate senza riflettere sul loro senso, la dialettica utilizzata per incastrare e persuadere, una logica più connessa al mondo pubblicitario che a quello delle relazioni tra persone. 

Non ci si rende sufficientemente conto che la nostra modalità comunicativa è sempre più frutto di logiche non scelte liberamente o consapevolmente, ma frutto di modi di fare che lasciano poco spazio al comunicare “dolcianamente” inteso.”

La nostra è una società della discordia e della bugia, la quale ha copiato dal linguaggio della pubblicità, che tutti sappiamo millantatore, il modo di comunicare che poi si usa in altri contesti, come la religione e la politica. Si mente sapendo di mentire e si mente autoconvincendosi di non mentire. E ci si arrabbia quando qualcuno arriva e ti dice che stai mentendo.

Quel qualcuno ti disturba. “Nella Bibbia, mai vediamo i profeti in veste di tribuni del popolo, mai li vediamo alla testa di imponenti movimenti popolari, e anche quando si alleano con un gruppo d’una certa consistenza, come fa ad esempio Geremia con la tribù nomadizzante dei recabiti (Ger 35), lo fanno più nel senso di un’alleanza simbolica che di un’alleanza politica. (…) Non solo ai contemporanei, bensì anche alle generazioni successive, la comparsa di un profeta può suggerire quella interpretazione che nel Nuovo Testamento gli abitanti di Nazaret adottarono di fronte all’attività di Gesù: “E’ fuori di sé”, “è pazzo” (Mc 3,21).(…) 


In verità la psiche delle masse segue il principio del nirvana di FREUD, essa vuole la sua pace, e nulla le riesce più incomprensibile dell’incessante inquietudine sparsa da spiriti ardenti quali sono i profeti. Sotto forma di uno spettacolo estetico, di una burla stravagante si possono anche tollerare gli individui investiti dallo spirito; ma in veste di individui, i quali pretendono che li si segua, occorre deriderli, metterli a tacere, renderli inoffensivi o renderli semplicemente “impossibili”. 

E la folla non ha ragione? Non bisogna ritenere saggio quel che re e sacerdoti, potenti e credenti trovarono in tutti i tempi da obiettare ai profeti, e cioè che essi sarebbero dei sognatori irrealistici, dei fanatici eccentrici e degli squinternati insopportabili? (…) 

Possiamo anche dire: un profeta è un individuo la cui fronte tocca il cielo, mentre i suoi piedi camminano ancora sulla terra; ma la terra è per lui come un fuoco ardente, e ci vorrà molto tempo prima che essa diventi una patria”

I profeti di oggi sono quelli che “vedono” il processo di centratura onfalica del capitalismo finanziario, del tutto simile ad altri precedenti processi di identitarismo e etnocentrismo, un processo che “avrebbe regole e strutture più o meno uniformi. (…) La centralità impone oggettivamente una scelta aggressiva e di espansione, la superalimentazione della propria essenza una dilatazione del territorio, impone l’imperialismo, la guerra contro ‘gli altri’.



Gli “altri” contro cui si è già scatenata una guerra, oggi, nella società della discordia e della menzogna, siamo tutti noi; tutti coloro che non sono dei potenti, degli “Erode”, come li ha definiti papa Francesco nella sua prima omelia: “E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna.”


http://www.rrrquarrata.it/www/notiziario/in-dialogo-numero-100/dove-sono-i-profeti-nella-societa-della-discordia-e-della-menzogna-normanna-albertini/