Dom Jean-Baptiste Gustave Chautard
L’Anima di ogni Apostolato
Capitolo II
– II –Dio vuole che
Gesù sia la Vita delle opere
La scienza va
giustamente fiera delle sue enormi conquiste. Ma una cosa le fu finora e le sarà per sempre
impossibile: creare la vita, far uscire dal laboratorio chimico un chicco di
frumento o una larva. Il clamoroso fallimento dei
difensori della generazione spontanea ci ha istruito su tale pretesa.
Iddio riserva per sé il
potere di creare la vita.
Nel regno vegetale od
animale, gli esseri viventi possono crescere e moltiplicarsi, sebbene la loro
fecondità si realizzi solo nelle condizioni stabilite dal Creatore.
Quando però si tratta
della vita ntellettuale, Dio la riserva a sé ed è Lui stesso che crea
direttamente l’anima ragionevole.
V’è tuttavia un altro
ordine di cui è ancora più geloso ed è quello della vita soprannaturale, poiché
essa è emanazione della Vita divina comunicata all’Umanità dal Verbo Incarnato.
L’Incarnazione e la
Redenzione stabiliscono Gesù Cristo come Sorgente, e Sorgente unica, di quella
vita divina alla quale tutti gli uomini sono chiamati a partecipare.
«Per il Signore nostro Gesù Cristo: per Lui,
con Lui ed in Lui» (dalla Liturgia). Il compito essenziale della Chiesa sta nel
diffondere questa vita mediante i Sacramenti, la preghiera, la predicazione e
tutte le opere che vi si connettono.
Dio non fa nulla se non
mediante suo Figlio: «Tutto è stato fatto per mezzo
di Lui, e senza di Lui
non è stato fatto nulla di ciò che esiste» (Gv. 1, 3).
Ciò è vero nell’ordine
naturale, ma molto di più nell’ordine soprannaturale, dove
si tratta di comunicare
la sua vita intima e di far partecipare agli uomini la sua natura
trasformandoli in figli di Dio.
«Sono venuto affinchè
ricevessero la vita. Io sono la vita. In Lui era la vita»
(Gv. 10, 10; Gv. 14, 6;
Gv. 1, 4).
Che precisione in
queste parole!
Quanta luce nella
parabola della vite e dei tralci, in cui il Maestro sviluppa questa
verità! Quanta
insistenza per imprimere nello spirito dei suoi Apostoli questo
principio fondamentale
– Lui solo, Gesù, è la Vita – e questa conseguenza: per partecipare a questa vita e
comunicarla agli altri, essi per primi devono essere innestati sull’Uomo-Dio! Gli
uomini chiamati all’onore di cooperare col Salvatore per trasmettere alle anime questa vita
divina, devono perciò considerarsi come semplici canali
incaricati di attingere
a questa unica Sorgente.
L’uomo apostolico che,
misconoscendo questi principi, credesse di produrre il minimo vestigio di vita
soprannaturale senza attingerla totalmente dal Cristo, farebbe pensare che la
sua ignoranza teologica sia pari solo alla sua sciocca presunzione.
Se l’apostolo, pur
riconoscendo in teoria che il Redentore è la causa primordiale di ogni vita
divina, in pratica però dimenticasse tale verità e,accecato da una folle
presunzione che è un’ingiuria verso Gesù Cristo, facesse affidamento soltanto
sulle proprie forze, sarebbe un disordine meno grave del precedente,
ma sempre insopportabile agli occhi di Dio.
Respingere la verità o
farne a meno nell’agire, è pur sempre un disordine
intellettuale, sia esso
dottrinale o pratico.
E’ la negazione di un
principio che
deve informare la
nostra condotta.
Il disordine si
aggraverà, evidentemente,
se la verità, invece di
potersi irraggiare, trova il cuore dell’uomo di azione in
opposizione al Dio di
ogni luce, per colpa del peccato o per tiepidezza volontaria.
Il comportamento di chi
si occupa delle opere come se Gesù non fosse l’unico principio di vita, veniva
bollato dal cardinale Mermillod come
«eresia dell’azione». Con tale
espressione, egli condannava l’aberrazione d’un apostolo il quale, dimenticando
che il suo ruolo è secondario e subordinato,
si attende i successi
del suo apostolato unicamente dalla sua attività
personale e dalle sue
capacità.
Non è questo una
negazione pratica di una gran parte del Tractatus de Gratia? Ripugna a prima
vista una simile conseguenza, ma a ben pensarci è fin troppo vera.
«Eresia dell’azione»!
L’attività febbrile che si sostituisce all’azione di Dio; la Grazia
misconosciuta; l’orgoglio umano che vuole detronizzare Gesù Cristo;
la vita soprannaturale,
la potenza della preghiera e l’economia della Redenzione relegate, almeno
praticamente, fra le astrazioni: sono un caso tutt’altro che immaginario e che
la conoscenza delle anime rivela essere frequentissimo, benché in gradi
diversi, in questo secolo di naturalismo, in cui l’uomo giudica soprattutto in
base alle apparenze ed agisce come se il successo di un’opera dipendesse
principalmente da un’ingegnosa organizzazione.
Anche prescindendo
dalla Rivelazione, al solo lume della filosofia, non si
potrebbe che
commiserare un uomo mirabilmente dotato, che si rifiutasse di
riconoscere Dio come il
principio dei magnifici talenti di cui è dotato.
Cosa proverebbe un
cattolico istruito nella religione, vedendo un apostolo
che ostenta, almeno
implicitamente, la pretesa di comunicare alle anime il
sia pur minimo grado di
vita divina, facendo a meno di Dio?
«Ah, insensato!»,
esclameremmo nell’ascoltare un operaio evangelico che
osasse dire: «Mio Dio,
non suscitate ostacoli alla mia impresa, non venite ad
intralciarla, ed io
m’incaricherò di condurla a buon fine».
Il nostro sentimento
sarebbe soltanto un riflesso dell’avversione provata da Dio alla vista di un
tale disordine, alla vista di un presuntuoso che spingesse il suo orgoglio fino
a voler dare la vita soprannaturale, produrre la fede, debellare il peccato,
condurre alla virtù, infervorare le anime con le sole forze proprie e senza
attribuire tali effetti all’azione diretta, costante, universale e
sovrabbondante del Sangue divino, ch’è il prezzo, la causa e il mezzo di ogni grazia e
d’ogni vita spirituale.
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