La disumanità dell'uomo non si materializza soltanto negli atti corrosivi dei malvagi. Si materializza anche nella corruttrice inattività dei buoni.

Martin Luther King

Se vedi la carità, vedi la Trinità.

( Sant'Agostino )

domenica 26 gennaio 2014

SANTA TERESA D'AVILA



Verso il centro dell’anima

Tra le pratiche di pietà, come quella che tutte le riassume, Santa Teresa dà, dunque, un’estrema importanza all’orazione – un’orazione che si apre alla contemplazione- di cui parla in tutte le sue opere, anche minori, con fascinosa abbondanza e appassionato entusiasmo.

Ma è nel Castello interiore dove la tematica dell’orazione, frutto di definitiva maturazione spirituale, viene svolta con maggiore ordine e completezza. In questo suo immortale capolavoro, la Madre Teresa immagina l’anima come un meraviglioso castello. Nella dimora centrale troneggia il Cristo, come re, e la sua splendida gloria illumina di dimora in dimora tutto il castello, sino alla cinta più esterna. Al di fuori non vi sono che tenebre e nei fossati vipere e rospi immondi.

Questa fortezza comprende sette cinte di diversa grandezza. Sono i sette gradi di orazione per cui l’anima deve passare prima di giungere alla stanza centrale. Le prime tre dimore rappresentano i primi tre gradi dell’orazione attiva o discorsiva. 
Le altre quattro rappresentano gli stati passivi che conducono alla dimora centrale, in cui si realizza l’Unione piena e permanente, che è il preludio della vita eterna.

La Santa Madre Teresa, ci descrive, come in un meraviglioso romanzo di cavalleria, le prove dell’anima in cerca di Dio.
Dalla meditazione, fatta con perseveranza e buona volontà, al raccoglimento continuo ed accentuato; dal raccoglimento attivo all’orazione di quiete,
è tutto un processo di avvicinamento verso l’unione costante, verso la “Fonte dell’acqua viva”, 
che erompe dalla stanza nuziale del castello, la quale verrà raggiunta, non tanto attraverso tensioni ascetiche, quanto piuttosto mediante un prezioso gratuito dono di Dio.

Con l’orazione di quiete, entriamo decisamente nel “soprannaturale”, in una terra santa, nel mondo della preghiera contemplativa. Qui è Dio che si fa intimo all’anima, agendo nel suo centro, attirando a Sé tutte le sue forze, illuminandola ed accendendola di una luce e di un ardore soprannaturale.

Le strutture umane, pur non venendo soppresse, sembrano trasferite nella loro azione su di un piano diverso, superiore, su cui sorge e fiorisce la vita e l’esperienza mistica.
Dal ritmo di due libertà –quella dell’uomo che accoglie il dono dell’amore e quella di Dio che liberamente si effonde- nasce quasi una struttura esistenziale nuova, come un nuovo modo di conoscere e di giudicare le cose.

L’invasione divina comincia nella volontà, facoltà che in noi dirige le altre ed ha per oggetto l’amore; dalla volontà l’azione di Dio si estende alle altre potenze, così da porle in una passività completa nell’orazione di unione semplice.
Questa prima piena esperienza di Dio è di durata brevissima: preludio di un’altra più perfetta.

Con l’orazione estatica –intreccio di sofferenze purgatrici e di soavissime grazie -l’anima vede aprirsi le porte di un nuovo mondo, dagli orizzonti divini, in cui va sempre più inoltrandosi, sino a perdervisi tutta in una fiamma di amore e di dolore, alle soglie delle settime mansioni, stanza terminale di questo progressivo itinerario di interiorità.
Sotto l’azione di questa preghiera estatica, l’anima trascorre talora giorni interi in preda all’amore e sente in certi momenti passare su di sé il soffio impetuoso di una sublime follia:” vorrebbe avere mille vite per impiegarle tutte per Iddio, desidererebbe che tutte le cose della terra fossero altrettante lingue che lo lodassero per lei
 (Castello VI, 4 14-15). 

Dopo l’unione estatica, come disposizione ultima all’unione trasformante, l’anima viene presa con particolare insistenza ed intensità, dalle pene dolorosissime e purificatrici dell’amore.
La grazia dell’unione mistica delle seste mansioni, facendole intravedere le bellezze arcane della vita di Dio, fa esplodere nell’anima umana un’immensa capacità di amore, che la pone in uno stato di desideri brucianti e di tremende  angosce. 
Il desiderio di vedere e possedere Dio, unicamente Dio, aumentando sempre più di intensità, provoca nell’anima un indescrivibile tormento.

“I tormenti, di cui parlo, scrive la Santa, non si sentono nel corpo, ma nel più intimo e profondo dell’anima”, la quale prova “strana solitudine”: sospesa tra cielo e terra, divorata da una sete bruciante e inestinguibile, che la spinge rigorosamente verso l’unica sorgente che può dissetarla(Castello VI, 4, 2-5). Questa sorgente è nel centro del Castello, nelle settime mansioni, nella profondità dell’anima.

Per comprendere l’intimità delle settime mansioni ricordiamo ancora l’allegoria del castello. Possiamo considerare l’anima, dice la Santa Madre Teresa di Gesù, “non già come una cosa stretta e limitata, ma come un mondo interiore, suddiviso in tante e meravigliose mansioni”.    
 “Le cose dell’anima si devono sempre considerare con ampiezza, estensione, magnificenza, senza paura di esagerazione, perché la capacità dell’anima sorpassa ogni umana immaginazione… Portate il vostro sguardo al centro, dove è situato l’appartamento  e il palazzo del Re”
 (Castello I, 2, 8-5).

Mentre nelle diverse mansioni dell’anima vi abitano e vi si muovono i sensi e le potenze, nella settima, suo “centro”, suo “spirito”, vi risiede Dio solo, come un Sole, come un Re. 

Quando l’anima ritorna, si raccoglie su se stessa, può, con i suoi mezzi e con le grazie ordinarie, percorrere le tre dimore o mansioni. Oltre non può procedere con le sue forze. Dio solo, mediante grazie straordinarie, la può introdurre nelle quarte, quinte e seste mansioni.

Nelle quarte mansioni (mansioni di quiete) la mozione divina, congiungendosi col movimento personale dell’anima verso Dio, non prende ancora le potenze alla loro radice, ma piuttosto le coglie nel loro atto, per cui ritengono ancora una certa libertà e iniziativa.

Nelle quiete e seste mansioni (orazione di unione semplice e di estasi) sente invece la mozione divina scendere proprio verso il più intimo del suo essere da venir messa in una passività completa che esclude ogni possibile cooperazione personale. 
In questa mansione Dio la visita.

“I sensi e le potenze”, dice S. Teresa, servono ancora da veicoli, da “intermediari”: aprono le porte, fungono da occasioni di visite e di rivelazioni, hanno ancora una loro presenza e una loro strumentalità.

Nelle settime mansioni, invece, non vi è che Dio e vi è, nota ancora la Santa Madre Teresa, “senza passare per alcuna porta” (Castello VII, 2, 3).

L’idea, come si vede, è chiara: nelle quarte, quinte e seste mansioni è Dio che si sposta, per così dire, verso l’anima; nelle settime invece è l’anima che, raccogliendosi nel suo spirito, entra nella dimora di Dio.