Tra le
pratiche di pietà, come quella che tutte le riassume, Santa Teresa dà, dunque,
un’estrema importanza all’orazione – un’orazione che si apre alla
contemplazione- di cui parla in tutte le sue opere, anche minori, con fascinosa
abbondanza e appassionato entusiasmo.
Ma è nel
Castello interiore dove la tematica dell’orazione, frutto di definitiva
maturazione spirituale, viene svolta con maggiore ordine e completezza. In
questo suo immortale capolavoro, la Madre Teresa immagina l’anima come un
meraviglioso castello. Nella dimora centrale troneggia il Cristo, come re, e la
sua splendida gloria illumina di dimora in dimora tutto il castello, sino alla
cinta più esterna. Al di fuori non vi sono che tenebre e nei fossati vipere e
rospi immondi.
Questa
fortezza comprende sette cinte di diversa grandezza. Sono i sette gradi di
orazione per cui l’anima deve passare prima di giungere alla stanza centrale.
Le prime tre dimore rappresentano i primi tre gradi dell’orazione attiva o
discorsiva.
Le altre quattro rappresentano gli stati passivi che conducono alla
dimora centrale, in cui si realizza l’Unione piena e permanente, che è il preludio
della vita eterna.
La Santa Madre Teresa, ci descrive, come in un meraviglioso romanzo di cavalleria, le
prove dell’anima in cerca di Dio.
Dalla
meditazione, fatta con perseveranza e buona volontà, al raccoglimento continuo
ed accentuato; dal raccoglimento attivo all’orazione di quiete,
è tutto un
processo di avvicinamento verso l’unione costante, verso la “Fonte dell’acqua
viva”,
che erompe dalla stanza nuziale del castello, la quale verrà raggiunta,
non tanto attraverso tensioni ascetiche, quanto piuttosto mediante un prezioso
gratuito dono di Dio.
Con l’orazione
di quiete, entriamo decisamente nel “soprannaturale”, in una terra santa, nel
mondo della preghiera contemplativa. Qui è Dio che si fa intimo all’anima,
agendo nel suo centro, attirando a Sé tutte le sue forze, illuminandola ed
accendendola di una luce e di un ardore soprannaturale.
Le strutture
umane, pur non venendo soppresse, sembrano trasferite nella loro azione su di
un piano diverso, superiore, su cui sorge e fiorisce la vita e l’esperienza
mistica.
Dal ritmo di
due libertà –quella dell’uomo che accoglie il dono dell’amore e quella di Dio
che liberamente si effonde- nasce quasi una struttura esistenziale nuova, come
un nuovo modo di conoscere e di giudicare le cose.
L’invasione
divina comincia nella volontà, facoltà che in noi dirige le altre ed ha per
oggetto l’amore; dalla volontà l’azione di Dio si estende alle altre potenze,
così da porle in una passività completa nell’orazione di unione semplice.
Questa prima piena esperienza di Dio è di durata brevissima: preludio di un’altra
più perfetta.
Con l’orazione
estatica –intreccio di sofferenze purgatrici e di soavissime grazie -l’anima
vede aprirsi le porte di un nuovo mondo, dagli orizzonti divini, in cui va sempre
più inoltrandosi, sino a perdervisi tutta in una fiamma di amore e di dolore,
alle soglie delle settime mansioni, stanza terminale di questo progressivo
itinerario di interiorità.
Sotto l’azione
di questa preghiera estatica, l’anima trascorre talora giorni interi in preda
all’amore e sente in certi momenti passare su di sé il soffio impetuoso di una
sublime follia:” vorrebbe avere mille vite per impiegarle tutte per Iddio,
desidererebbe che tutte le cose della terra fossero altrettante lingue che lo
lodassero per lei
(Castello VI, 4 14-15).
Dopo l’unione estatica, come
disposizione ultima all’unione trasformante, l’anima viene presa con
particolare insistenza ed intensità, dalle pene dolorosissime e purificatrici
dell’amore.
La grazia
dell’unione mistica delle seste mansioni, facendole intravedere le bellezze
arcane della vita di Dio, fa esplodere nell’anima umana un’immensa capacità di
amore, che la pone in uno stato di desideri brucianti e di tremende angosce.
Il desiderio di vedere e possedere
Dio, unicamente Dio, aumentando sempre più di intensità, provoca nell’anima un
indescrivibile tormento.
“I tormenti,
di cui parlo, scrive la Santa, non si sentono nel corpo, ma nel più intimo e
profondo dell’anima”, la quale prova “strana solitudine”: sospesa tra cielo e
terra, divorata da una sete bruciante e inestinguibile, che la spinge
rigorosamente verso l’unica sorgente che può dissetarla(Castello VI, 4, 2-5).
Questa sorgente è nel centro del Castello, nelle settime mansioni, nella
profondità dell’anima.
Per
comprendere l’intimità delle settime mansioni ricordiamo ancora l’allegoria del
castello. Possiamo considerare l’anima, dice la Santa Madre Teresa di Gesù, “non
già come una cosa stretta e limitata, ma come un mondo interiore, suddiviso in
tante e meravigliose mansioni”.
“Le
cose dell’anima si devono sempre considerare con ampiezza, estensione,
magnificenza, senza paura di esagerazione, perché la capacità dell’anima
sorpassa ogni umana immaginazione… Portate il vostro sguardo al centro, dove è
situato l’appartamento e il palazzo del
Re”
(Castello I, 2, 8-5).
Mentre nelle
diverse mansioni dell’anima vi abitano e vi si muovono i sensi e le potenze,
nella settima, suo “centro”, suo “spirito”, vi risiede Dio solo, come un Sole,
come un Re.
Quando l’anima ritorna, si raccoglie su se stessa, può, con i suoi
mezzi e con le grazie ordinarie, percorrere le tre dimore o mansioni. Oltre non
può procedere con le sue forze. Dio solo, mediante grazie straordinarie, la può
introdurre nelle quarte, quinte e seste mansioni.
Nelle quarte
mansioni (mansioni di quiete) la mozione divina, congiungendosi col movimento personale
dell’anima verso Dio, non prende ancora le potenze alla loro radice, ma
piuttosto le coglie nel loro atto, per cui ritengono ancora una certa libertà e
iniziativa.
Nelle quiete
e seste mansioni (orazione di unione semplice e di estasi) sente invece la
mozione divina scendere proprio verso il più intimo del suo essere da venir
messa in una passività completa che esclude ogni possibile cooperazione
personale.
In questa mansione Dio la visita.
“I sensi e
le potenze”, dice S. Teresa, servono ancora da veicoli, da “intermediari”:
aprono le porte, fungono da occasioni di visite e di rivelazioni, hanno ancora
una loro presenza e una loro strumentalità.
Nelle
settime mansioni, invece, non vi è che Dio e vi è, nota ancora la Santa Madre
Teresa, “senza passare per alcuna porta” (Castello VII, 2, 3).
L’idea, come
si vede, è chiara: nelle quarte, quinte e seste mansioni è Dio che si sposta,
per così dire, verso l’anima; nelle settime invece è l’anima che,
raccogliendosi nel suo spirito, entra nella dimora di Dio.